
Ci dispiace dover tornare sull’argomento, perché significa che purtroppo pare non esistere davvero fine alla superficialità e alla stupidità cui oramai si sono ridotti gli essere (sub)umani.
Difatti la nostra attenzione è stata attratta da una nuova e sinistra produzione, un gioco, un gioco da tavola per adulti e ragazzi. Sponsorizzato su Facebook tramite una nota piattaforma di crowdfunding internazionale, ci veniva proposto un titolo che è già di per se stesso un programma: “Goetia: Nine kings of Solomon“.
In un nostro articolo precedente avevamo analizzato e parlato di un libro per bambini dal titolo A Children’s Book of Demons, il quale si fondava proprio sulla Goetia, in proposito scrivemmo:
«Tutto questo non è frutto della sua stravagante (per non dire altro) mente ma trova i suoi riferimenti nella Goetia, quella che viene definita essere la “scienza di evocazione dei demoni”, la quale affonda le proprie radici in tempi molto antichi e arriva a noi codificata in diversi manuali attraverso i secoli. Il più noto è un grimorio del XVII secolo, “La piccola chiave di Salomone”, utilizzato oggi giorno come manuale classico per le cosiddette pratiche di magia nera».
Ed eccoci nuovamente qui, questa volta invece di un libro per bambini dove l’attività era disegnare sigilli, recitare formule ed evocare demoni, adesso possiamo portare il livello su un piano più strutturato, sociale e ludico.
I creatori di Goetia ci informano infatti che: «Goetia: Nine kings of Solomon è un gioco di collocamento lavoratori e gestione delle risorse in cui ogni giocatore cerca di contattare, evocare e adorare demoni goetici. Il gioco si concentra sui 9 re demoni che compaiono nelle scritture del Lemegeton Clavicula Salomonis.[…] I giocatori possono anche pagare risorse per inviare i propri lavoratori a contattare i demoni. Contattando i demoni i giocatori ricevono attenzione demoniaca. Quando un demone è a corto di attenzione, viene evocato un demone e i giocatori possono ora pagare più risorse per adorare detto demone al fine di ottenere abilità speciali (poteri demoniaci, manufatti, tesori). I poteri demoniaci valgono punti di adorazione. […] Il gioco termina quando un giocatore ha 4 Patti attivi con un Demone o quando un certo numero di Patti è stato acquisito da tutti i giocatori».
Forse non ci sarebbe bisogno nemmeno di commentare. Si tenga presente che non soltanto le regole, i termini utilizzati e le azioni da compiere richiamano al basso, ma la stessa grafica del gioco (estremamente realistica), le pedine, i segnalini, il tabellone, etc., tutto rimanda e ricalca fedelmente l’atmosfera e i simboli grafici utilizzati nel reale testo di evocazione demoniaca conosciuto per l’appunto come “Piccola chiave di Salomone”.
Senza tirare in ballo approfondimenti metafisici riguardanti l’attività del “giocare” e dando per scontata l’importanza educativa e sociale che da sempre ha caratterizzato tale mondo, ci rifaremo al concetto di Homo Ludens teorizzato nel 1938 da Huizinga: «La cultura sorge in forma ludica, la cultura è dapprima giocata… Ciò non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco, viene rappresentata in forme e stati d’animo ludici… Nei giochi e con i giochi la vita sociale si riveste di forme sovrabiologiche che le conferiscono maggior valore».
Se cerchiamo di leggere quanto scritto fino ad ora rispetto al gioco “Goetia” alla luce di quanto riportato dal famoso storico olandese il quadro non è poi così rassicurante, e qui ci stiamo fermando esclusivamente su di un piano socio-culturale!
Ed è importante per noi vigilare e affrontare una tematica così poco trattata nel nostro “ambiente”, e cioè quella del gioco. Il tema ludico ad esempio, oltre che pervasivo, nelle narrazioni mitiche è intrinsecamente o esplicitamente collegato a quello religioso. Prima che mero divertimento il gioco era ben altro. Nato dall’esuberanza di una mente che può spaziare oltre i confini della lotta per la sopravvivenza e la manipolazione di oggetti il gioco proietta una potenza astrattiva e immaginifica immensa. Ricreare sulla sabbia il “campo di battaglia” elaborando una strategia o discutere su come affrontare la caccia a un grande mammifero, fu anche questa la “mossa vincente” per assicurarsi vittoria e successo. Eppure lo stesso Omero ci insegna che andarono a Ulisse “tessitore di inganni” le armi di Achille invece che al fortissimo Aiace. I due si vedono impegnati nel giocare ai dadi sulla raffigurazione della nota anfora attica dei Musei Vaticani. Forse non esprime meramente un’attività di passatempo tra uno scontro ed un altro sotto le mura di Ilio, ma potrebbe essere espressione di quel gioco simulato- astratto – simbolico a cui sono legate, nelle sue potenzialità e nei suoi rischi, le vicende umane.
Si noti che tranne in rare eccezioni di età tarda, in nessuna mitologia arcaica il gioco è incorporato in una figura divina o demoniaca; al contrario, però, si rappresenta spesso una divinità in atto di giocare, spesso “giocando” un atto di creazione cosmogonica. Il gioco serve a rappresentare gli avvenimenti cosmici, a mostrarli, accompagnarli e realizzarli nuovamente, al pari del rito, interrompendo il tempo storico per ricongiungersi all’Illud Tempus (tempo mitico) tanto caro a Mircea Eliade.
In questa forma e nella funzione ludica troviamo così l’idea di essere noi parte d’un cosmo, un ordine sacro. All’interno del gioco viene insinuandosi il senso di un “atto” sacro. Come ramo da frutto su di una pianta selvaggia, così il culto si innesta nel gioco. Già Platone ci insegnava l’accostamento tra gioco e sacrificio: «Si deve vivere giocando, facendo dati giochi e dati sacrifici, cantando e ballando, per poter rendere propizi gli dei, respingere i nemici e vincerli nella battaglia» (Platone, Leggi, VII, 796).
Siamo forse noi, giocando, divenendo fanciulli, quel “Fanciullo divino” di cui parlavano gli antichi? Un Fanciullo divino che si unisce quindi ad un Deus Ludens, in un infinito atto di creazione e assimilazione…forse. Questo tema che riecheggia nei miti dionisiaci, apollinei ed eraclidi. Venere ed Eros giocano a palla secondo Apollonio Rodio e le opere vascolari greche.
Non compare forse nella cosmogonia induista Lila, il “gioco divino”, che sta ad esprimere l’attività creatrice divina?
«Vidura chiese: come può essere affermato che il Signore Supremo ha creato l’universo per gioco? Il fanciullo è spinto a giocare da un desiderio di piacere o per la compagnia, ma il Signore supremo non ha desideri ed è l’essere unico ed infinito» (Bhagavata Purana).
La tradizione indiana stupisce per la semplicità della sua visione: nella letteratura sacra, spesso la manifestazione è chiamata per l’appunto lila, parola sanscrita che indica il gioco divino nel quale il Creatore si intrattiene e allieta sin dalle origini, portando in essere tutto l’universo. Un gioco senza fine che il Brahman porta avanti pur senza essere coinvolto.
«Egli non ha motivo di essere. Allo stesso modo il mondo è semplicemente un suo gioco» (Brahmasutra).
Il tema del “ludo creativo” non manca di accompagnare anche la cosmogenesi della tradizione abramitica. In alcune traduzioni dei Proverbi si legge (8: 27-31): «Quando fissava i cieli io (ebraico: Hokma, la Sapienza divina) ero presente […]Quando gettava le fondamenta della terra io ero al suo fianco, figlia diletta rallegrandolo giorno dopo giorno. E giocavo di continuo in sua presenza, giocavo sul globo della terra compiacendomi dei figli degli uomini».
I bambini giocano e il loro giocare è creativo, spontaneo, intenso e totale. Questi sono alcuni degli approcci partecipativi al rito che si hanno negli adulti. Il tema sarebbe da sviluppare ancora più approfonditamente, ma rispetto a quella che era stata la nostra notizia d’apertura speriamo si sia capita l’importanza e la gravità del “gioco”. Se il giocare moderno ha perso praticamente tutte le funzioni di veicolo del sacro, che almeno non diventi sovversione di se stesso, generando ombre invece di Luce.
Come già scrivemmo nell’articolo precedente, al riguardo di realizzare giochi con tematiche sataniche ma “innocui” forse nella mente dell’eunuco spirituale di turno: «Questa attitudine può anche essere inconsapevole, ma mai involontaria. Praticare rituali di evocazione, anche se spesso grotteschi e di carattere spurio, non esclude che talvolta si giunga ad esperienze che permettono l’inserimento di forze “infere” e “diaboliche”. La blasfemia spesso vive di parodia, e la parodia è facile da far passare per molti altri atteggiamenti più “accettabili”» (per chi volesse leggerlo integralmente ecco il link).
Quindi a voi padri di figli, indirizzateli e accompagnateli verso un giocare salutifero e di accrescimento esperienziale luminoso; e tutti quanti ritualizzate il gioco della vita.
