Da più parti, eminenti giornalisti – e finanche quelli laici e progressisti del “Fatto Quotidiano” – si sono interessati alla benedizione del Papa, fatta qualche giorno fa da Piazza San Pietro, per chiedere la grazia contro il corona virus. Ma, questi professionisti dell’informazione, non si sono interessati al significato profondo del rito, e alla potenza evocativa dei simboli richiamati, quanto sui “danni” che, a dire loro e a dire di qualche indiscutibile esperto di belle arti, si sarebbero prodotti sul crocifisso portato in piazza San Pietro sotto una pioggia battente.
Ebbene, comprendiamo che a questi laici/atei (giornalisti ed esperti di belle arti) sia difficile comprenderlo, ma quelli sono “attrezzi da lavoro” ed è naturale che possano rovinarsi con l’uso. Viceversa, se conservati sotto qualche teca, potranno anche durare più a lungo ma a quale scopo?
Avete letto bene, abbiamo detto “attrezzi da lavoro”, perché il Papa non è altro che un pontifex – cioè un facitore di ponti – ed in questo ruolo è proprio un artifex, cioè persona investita della costruzione di questo metafisico ponte. E come si costruiscono i ponti? Con gli attrezzi! E il Papa ha giustamente usato gli attrezzi nel modo che riteneva, cioè senza filtri, senza protezioni, affinché lo strumento adempisse al suo scopo finale.
Dovremmo stupirci che ogni tanto si rompa il martello del carpentiere o che si rompa la cazzuola del muratore perché li utilizzano nel loro lavoro? No, ebbene allo stesso modo, il Papa ha usato quegli strumenti per quello che sono: non “opere d’arte” fini a se stesse, ma espressione del Sacro che nell’arte ha trovato la sua forma compiuta e comprensibile all’uomo, come ogni simbolo metafisico per eccellenza fa nel suo rivelarsi all’umano intelletto.
Anzi, diremo di più, attirandoci forse le ire del Ministero per i beni e le attività culturali e anche di qualche custode delle ceneri. A quanto pare, l’icona della Madonna portata in piazza San Pietro non sarebbe stata quella originale, oggetto di particolare devozione, ma una copia. Questo perché – è la fonte giornalistica a riportarlo – i Musei Vaticani dove l’originale è custodita, si sarebbe opposti alla concessione e all’uso dell’icona per tutelarla. Male, malissimo! Questi custodi di un’arte che, così intesa è fine a se stessa, ed espleta la sola funzione di accumulare i soldi dei visitatori del museo, non capiscono nulla di arte, men che meno di arte sacra.
La cultura museale ha prevalso sulla religione e, anche da un mero punti di vista “politico”, diremmo che ha prevalso anche sulla “ragion di stato” visto che Bergoglio è anche capo dello Stato Vaticano e, a quanto ci risulta, i Musei vaticani ricadono sotto la sua egida.
E non è un caso, allora, che tutti questi paventati “danni” denunciati dalla stampa e dagli esperti di belle arti si siano risolti in un nulla di fatto. Giusto qualche giorno fa il restauro è stato finito in tempi record e, come per miracolo, i risultati sono straordinari e nessun segno evidente ha compromesso l’antico splendore dell’opera. Sarà forse perché alcuni strumenti, caricandosi di forze che vengono dall’alto e non rispondono solo agli effetti degli agenti atmosferici, sono in grado di resistere meglio di altri ai segni del tempo?
www.ilfattoquotidiano.it) – La scultura lignea, solitamente custodita nella chiesa di San Marcello al Corso e che si ritiene abbia salvato Roma dalla peste nel Cinquecento, ha subito seri danni e dovrà essere restaurata: legno gonfiato, stucchi saltati, tempera rovinata, la superficie lignea della parte dei capelli si è increspata e anche alcuni particolari delle braccia si sono rovinati.
di Francesco Antonio Grana
Danni gravi e irreparabili al crocifisso “miracoloso” davanti al quale Papa Francesco ha pregato chiedendo la fine della pandemia di coronavirus. Per quasi due ore, infatti, quello storico oggetto sacro è stato esposto alla pioggia che si è abbattuta su Roma mentre Bergoglio, in una piazza San Pietro deserta, invocava la fine dell’epidemia.
Il crocifisso, una scultura lignea quattrocentesca, è stato collocato sul sagrato della Basilica Vaticana senza alcuna protezione dalle intemperie durante tutto il tempo della celebrazione. Il risultato è stato davvero disastroso. L’acqua, infatti, ha gonfiato il legno secolare. In diversi punti gli stucchi sono saltati, così come alcune parti della leggera vernice antica. La tempera utilizzata per disegnare il sangue che sgorga dal costato di Gesù si è rovinata. La superficie lignea della parte dei capelli si è increspata e anche alcuni particolari delle braccia si sono rovinati.
Danni ai quali ora dovranno rimediare, in fretta, i restauratori dei Musei Vaticani. Il crocifisso che è esposto nella Chiesa di San Marcello al Corso, nel cuore di Roma, non è tornato nella sua casa. Da lì era partito due giorni prima della celebrazione del Papa. I frati dell’ordine dei Servi di Maria, a cui è affidata la chiesa, si aspettavano il suo ritorno il giorno dopo la preghiera di Francesco in piazza San Pietro. Anche per poter consentire ai fedeli che si recano lì in pellegrinaggio di pregare davanti a quell’immagine ritenuta miracolosa. Proprio come aveva fatto lo stesso Bergoglio, a sorpresa, nel pomeriggio di domenica 15 marzo, facendo perfino un tratto di strada a piedi in una Roma insolitamente deserta per arrivare nella Chiesa di San Marcello al Corso. Dal Vaticano, però, è arrivata la notizia che per il momento il crocifisso resterà nei sacri palazzi per il necessario e urgente intervento di restauro.
Non sono in pochi, dentro e fuori la Santa Sede, a esprimere incredulità e sconcerto per quanto è avvenuto. E ovviamente si è già scatenata la caccia al colpevole. Per di più l’icona della Salus populi romani, che era stata collocata poco distante dal crocifisso per la preghiera del Papa, era contenuta all’interno di una spessa teca che l’ha riparata dalla pioggia. Anche se non era nemmeno l’icona bizantina originale, esposta nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, bensì una copia. I responsabili dei Musei Vaticani, infatti, non permettono più che la Salus populi romani lasci l’edificio perché la tavola sulla quale è rappresentata è molto fragile. Esporla alle intemperie avrebbe comportato sicuramente anche per l’icona mariana danni seri e irreparabili.
Entrambi questi antichi simboli di fede sono molto venerati dai romani. La devozione al crocifisso è legata a due avvenimenti che risalgono al Cinquecento. La Chiesa di San Marcello al Corso, che per oltre un millennio non aveva subito danni di particolare entità, nella notte tra il 22 e il 23 maggio 1519 fu improvvisamente distrutta da un violento incendio. Dalla rovina dell’intero edificio sacro si salvarono solo il Crocifisso, che all’epoca si ergeva sopra l’altare maggiore, e la lampada di vetro che gli ardeva davanti. Questo evento commosse i romani che iniziarono a pregare davanti questa immagine.
Tre anni dopo, nel 1522, una grave epidemia di peste dilagò in tutta la città. Fu allora che il cardinale titolare di San Marcello, il porporato spagnolo Raimondo Vich, organizzò una solenne processione penitenziale durata 16 giorni. Il crocifisso fu portato a spalla per i diversi rioni di Roma e giunse fino alla Basilica di San Pietro. I cronisti dell’epoca sono concordi nell’affermare che dove passava la processione la peste cessava. Durante il Grande Giubileo del 2000, San Giovanni Paolo II volle pregare proprio davanti al crocifisso, portato per l’occasione nella Basilica Vaticana, nella messa per la giornata del perdono nella quale fece uno storico mea culpa per i mali commessi dalla Chiesa cattolica nel corso dei secoli.