Tutti ad applaudire in seno al governo per aver ottenuto negli scorsi giorni la promessa dalla UE di soldi con il cosiddetto Recovery Fund. Il governo giallo-rosso (o sarebbe meglio dire giallo-rotto?), infatti, esulta per avere ottenuto soldi in cambio di nulla: ma siamo sicuri sia così? Niente affatto.
Il Recovery Fund, infatti, ha alcune peculiarità che non vengono raccontate (volutamente) ai cittadini, i quali altrimenti dormirebbero sonni tutt’altro che tranquilli.
Prevede, infatti, che i soldi vengano erogati solo a fronte di progetti considerati validi dalla UE (unilateralmente) e, soprattutto, hanno come condizione di base l’adozione di una serie di misure da parte dello stato richiedente come, per esempio, la riduzione della spesa pubblica, tagli alle pensioni, ristrutturazione del debito pubblico.
Altro che senza condizionali! Con l’incognita peraltro di non vedere mai questi soldi, perché la UE avrà facoltà di sospendere le tranche dei pagamenti se gli Stati non dovessero rispettare gli impegni loro assegnati.
E chissà che, in corso d’opera, questi accordi non vengano rivisti sempre più a sfavore dei Paesi europei, costretti dalla crisi economica post-virus a non poter fare a meno della liquidità offerta da Bruxelles.
huffinghtonpost.it – Le risorse saranno legate alle Raccomandazioni Ue. Quelle del 2019 per l’Italia includono tagli di spesa pubblica, aggiustamenti strutturali e meno agevolazioni fiscali.
di Claudio Paudice
Tagli alla spesa pubblica, sforbiciata al debito, ritocchi alle pensioni. In pratica, le solite politiche di austerità. Ci sarà anche questo nel piano di riforme da presentare a Bruxelles per accedere al Recovery Fund, il maxi-fondo da 750 miliardi presentato pochi giorni fa dalla Commissione Europea e al centro degli imminenti e complessi negoziati tra i Ventisette. L’Italia sulla carta potrebbe beneficiare nei prossimi quattro anni e mezzo di circa 172 miliardi, di cui 82 sotto forma di sussidi e 90 come prestiti. Gli occhi sono ovviamente puntati sui primi perché una parte non dovrà essere restituita e, trattandosi di trasferimenti diretti, non hanno impatto diretto sulla montagna di debito pubblico già accumulato. Dagli 82 miliardi andranno poi scalati i circa 55 miliardi stimati di versamenti di Roma al fondo per la ripresa ma il rimborso – che avverrà attraverso nuove tasse comuni (digital e carbon tax, per esempio) e/o le rispettive quote nel Bilancio Ue – sarà molto diluito nel tempo, tra il 2028 e il 2058.
Va premesso che per ora si tratta di una proposta innovativa sul piano fiscale da parte di Bruxelles ma è difficile immaginare che possa uscire dai negoziati così come si appresta ad entrarvi. Già ora incontra l’opposizione di alcuni Paesi, come i quattro “frugali” (Danimarca, Svezia, Olanda e Austria) contrari al principio dei trasferimenti diretti ai Paesi, ai quali si sono aggiunti la Repubblica Ceca e l’Ungheria, quest’ultima a suo dire penalizzata nel saldo tra contributi e versamenti. In Irlanda, poi, già si inizia a discutere degli effetti di una digital tax sui colossi del web visto che alcuni hanno proprio lì le sedi europee e certamente non saranno contenti del balzello. Il negoziato è quindi solo all’inizio.