
“Eterna luce e splendida bellezza”: quel cielo che sfida il male ne Il Signore degli Anelli
Narrando della Guerra dell’Anello, J.R.R. Tolkien dipinge una lotta dall’esito apparentemente incerto. La potenza di Mordor, infatti, si traduce in una massa sterminata di uomini, animali e altre creature, in una inesauribile disponibilità di armamenti, di macchinari, di spie, di fortezze, caverne, torrioni, sbarramenti.
Si tratta, quindi, di una sterminata sovrabbondanza materiale, di un mare di materia indifferenziata che si riversa e si abbatte sui pochi luoghi che ancora custodiscono l’antica saggezza. Ne sono ferite e minacciate, fra l’altro, Minas Tirith, Rohan, il Bosco d’Oro, Gran Burrone e, naturalmente, la Contea e il suo popolo mite.
Molto spesso, Tolkien ricorre alla metafora dell’ombra che si estende in ogni direzione, promanando dalle sedi dell’Avversario – Mordor, perennemente avvolta dalle tenebre e dai vapori prorompenti dalle profondità della terra – e raggiungendo con buio, boati e fetore regioni un tempo ridenti e soleggiate. Vista da terra, la marea montante che incombe sulle terre libere appare travolgente, vittoriosa e impossibile da arginare: tale è, infatti, la potenza delle orde che incessantemente Mordor partorisce e getta nella battaglia.
Vi è, però, un’altra prospettiva che Tolkien – consapevolmente – sceglie di adottare nel descrivere le diverse fasi di questa lotta disperata della Luce contro l’Ombra che avanza: ed è quella del Cielo.
Si tratta, malauguratamente, di una prospettiva troppo spesso ignorata dai nuovi esegeti dell’opera tolkieniana, che si concentrano piuttosto – con vocazione puramente cinematografica – sulle proporzioni del nemico, sui suoi eserciti sterminati, sulla tenebra che tutto sembra avvolgere e annientare.
Recuperare questa “prospettiva dal cielo” è fondamentale per cogliere appieno il messaggio di speranza, lotta e vittoria che pervade Il Signore degli Anelli dalla prima all’ultima pagina. Questo breve contributo, quindi, volge le spalle alle cineprese e alle grandiose carrellate di battaglie e agli spazi terreni così tanto presenti – fino ad essere abusati – nelle ultime interpretazioni dell’opera di Tolkien, cercando di volgere gli occhi, invece, ai messaggi di speranza che l’Autore ha affidato al Cielo.
Vogliamo parlare qui, indifferentemente, del cielo notturno o di quello del dì: luminoso, freddo e cristallino il primo; caldo, dorato e trionfale il secondo. E da questa prospettiva, le orde invincibili di Mordor e tutte le sue tenebre si riducono a ben poca cosa: a un’ombra passeggera, a una bruttura limitata, circondata e infinitamente sovrastata da vastità insopprimibili di Luce.
La citazione più nota a questo proposito è, probabilmente, la seguente: “E lì Sam, sbirciando fra i lembi di nuvole che sovrastavano un’alta vetta, vide una stella bianca scintillare all’improvviso. Lo splendore gli penetrò nell’anima, e la speranza nacque di nuovo in lui. Come un limpido e freddo baleno passò nella sua mente il pensiero che l’Ombra non era in fin dei conti che una piccola cosa passeggera: al di là di essa vi erano eterna luce e splendida bellezza”.
Oltre la cappa di vapori vulcanici e malvagità, oltre le punte delle lance, oltre le spade affilate delle orde di Mordor, quindi, esiste un intero universo che ne è e ne rimane incontaminato e intatto e che, anzi, è irraggiungibile per qualsiasi male, anche per il male più grande che si manifesti in un’intera Era del mondo.
Così, Tolkien ci parla di stelle scintillanti e incorrotte, la cui luce continua a brillare nonostante le orde scatenate della materia si affannino vuotamente, a terra, per occupare e devastare pochi brandelli di suolo, per calpestare le semplici manifestazioni terrene di ciò che terreno non è.
E il sole, attorno, è vincitore e continua a brillare: persino una volta entrati nella terra di Mordor, Frodo e Samvise non sono completamente avvolti dall’oscurità. Lontano, sui monti non raggiunti dalla malvagità dilagante, continuano infatti ad avvicendarsi albe, mezzogiorni e tramonti. E lo sguardo continua a spaziare sulle catene innevate all’orizzonte, baluardo di purezza e di luce.
Là vi è “Mare ancora immacolato”, là “i raggi paralleli al suolo”, piegati, ma non sopraffatti dal coperchio d’ombra che avanza, hanno ancora la forza di illuminare le effigi degli antichi Re. E vi sono i Monti Bianchi scintillanti al sole, e vi è Gondor nel “pallido rossore dell’alba”, maestosa quando “il sole, improvvisamente emerso dalle ombre orientali” proietta “il suo raggio sul volto della Città”.
Vi è la luce trionfale, ma vi è anche la luce radiosa del giorno comune, quella in cui “una dolce fontana gorgogliava al sole del mattino”. O la luce calda della Contea che indora i campi, o la coltre di stelle sui mari dove le vele non tentano rotte da centinaia di generazioni. E tutte queste luci partecipano alla Battaglia.
Attorno all’ombra di Mordor, quindi, nonostante le astuzie, le atrocità e le malvagità del nemico, sorge indomabile un assedio di Luce. Una Luce insopprimibile, che si rincorre nel dì e nella notte, che ha nel sole, nella purezza delle acque, nello scintillio delle stelle i suoi baluardi e i suoi bastioni.
E allora, chi è davvero sconfitto? Nessun potente esercito può domare le stelle, né impedire ai barbagli di sole di possedere le vette. Non vi sono solo campi di battaglia da calpestare con calzature di ferro, non vi sono soltanto muri da distruggere o cavalieri da disarcionare.
Ovunque, fino al crollo dell’Occhio, è un insorgere di Luce che strangola il serpente di fumo del Monte Fato, è un palpitare di cristallo, d’oro, d’argento, di raggi che trafiggono le schiere tronfie di Mordor e dissipano la tenebra.
La vera Battaglia, nella Terra di Mezzo come in qualsiasi era e in qualsiasi luogo, si combatte e si vince nei cieli, perché è vero, “l’aria era impregnata di fuoco, di fumo, di tanfo”, ma “il sole brillò in cielo”. E allora “Venne il mattino dopo il giorno della battaglia, bello, con leggere nubi e il vento che volgeva a Ovest”.