El Alamein: mancò la fortuna non il valore

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«El Alamein»: un nome esotico che evoca sabbia, sangue e sacrificio. La battaglia più epica che combatté l’esercito italiano durante la seconda guerra mondiale in Africa settentrionale (23 ottobre- 6 novembre 1942).
I rapporti di forza tra italo tedeschi e alleati, comprendendo uomini, carri armati e aerei, erano di circa 1 a 5.
Per questo motivo, pur essendo stata una sconfitta italiana, la battaglia è rimasta leggendaria per le perdite inflitte al nemico e ha consacrato alla storia due divisioni: la Folgore, i cui parà, ridotti allo stremo, si ridussero a usare bottiglie molotov contro i carri nemici e a strisciare sotto i loro ventri d’acciaio per farli esplodere con le mine, e la divisione Ariete i cui carri medi – troppo deboli in confronto ai possenti Sherman di fabbricazione americana – si fecero completamente annientare per salvare la ritirata alle fanterie italiane.
La gran parte dei nostri circa 5.000 caduti fu raccolta nel dopoguerra dal tenente colonnello Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo con un’azione paziente – e pericolosa – durata ben 14 anni e culminata con la costruzione del grande Sacrario di El Alamein.
Nonostante questo, sono ancora tanti i soldati che riposano, dimenticati, sotto le sabbie dell’Egitto e della Libia.