C’è la crisi? Lo Stato ti aiuta (ma solo se sei “trans”)

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In quest’epoca di crisi post-covid lo Stato non si dimentica dei suoi cittadini. Attenzione però, perché ci riferiamo ai cittadini “trans“, e non gli altri. Questi altri, invece, devono farcela da soli e senza aiuti perché sono “etero” (o gay) e quindi per loro il mondo è facile e nessuna crisi può essere tanto acuta da far meritare loro un aiuto statale. Infatti, è da poco disponibile un «Avviso pubblico per la selezione e il finanziamento di progetti di accompagnamento all’autoimprenditorialità o alla creazione di nuove imprese per persone transgender». Come a dire: non preoccupatevi cari trans in difficoltà economica, lo Stato vi aiuterà in questo momento di così acuta crisi per voi sostenendovi nel diventare imprenditori.

Ma tutti i cittadini non dovrebbero essere uguali? Non sono evidentemente di questo parere al famigerato Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali di orwelliana concezione, che ha promosso il bando. Infatti, stride in maniera lampante il proposito del bando con quanto previsto nelle premesse proprio di questo Ente (e della Costituzione, aggiungeremo). Se  l’Unar è stato creato per la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica, come vanno configurati i transgender? Come una razza o come una etnia? Non è chiaro, eppure, a questi viene destinato un bando specifico con un bel gruzzoletto a supporto. Creando così una discriminazione – stavolta, davvero – verso i cittadini non transgender (anche gay, per esempio).


www.liberoquotidiano.it – Renato Farina contro Giuseppe Conte: “Finanziamenti agli imprenditori? Sì, ma solo se sei transessuale”.

La presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento delle pari opportunità, ha diffuso un bando. Lo si trova, per chi ne fosse interessato, digitando unar.it, dove l’acrostico sta per Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. Il titolo dice: «Avviso pubblico per la selezione e il finanziamento di progetti di accompagnamento all’autoimprenditorialità o alla creazione di nuove imprese per persone transgender». L’Unar esiste, dice l’intestazione, «per la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica». I transgender sono una razza, una etnia? Non sono banalmente italiani? Comunque sia, chi voglia attingere con il secchio qualche contributo deve sbrigarsi. Infatti: «Il termine ultimo per la presentazione delle proposte progettuali è il 10 settembre 2020». La dotazione è . 163.400. Per chiarire a chi non capisce il burocratese: non si finanziano transgender desiderosi di impegnarsi a mettere su una ditta, cosa positiva e che io allargherei anche, chessò, ai veneti o ai lucani, che sono anch’ essi etnie, ma a quanti vogliono insegnar loro come si fa. Non semplicemente l’imprenditore, ma l’imprenditore transgender, che è tutta un’altra cosa evidentemente, degna perciò di corsi differenziati.

CORSI SU MISURA
I fogli dattiloscritti si susseguono senza fine. Se uno crede che i provvedimenti politicamente molto corretti, diremmo arci-corretti, abbiano ridotto le scartoffie, si sbaglia di grosso. Quanto più aumentano con potenza geometrica di anno in anno i generi sessuali, gli uffici stanno al passo. Così per giustificare l’esborso statale la burocrazia ha messo insieme 35 (trentacinque) «vista la legge» o «visto l’addendum» o «il D.P.C.M», otto tra «considerato che», «ritenuto di» e «accertata la». La traduzione sta in una riga: il lavoro è il modo per integrarsi, i transgender faticano a trovarlo. Soluzione pensata dal governo Conte: aiutiamoli a casa loro, così che lavorino in proprio, ma ci vogliono docenti specialisti in materia trans. Insomma, i denari non vanno ai trans, andranno a chi si propone di far loro dei corsi su misura. Si stanno abrogando le differenze tra carriere maschili e femminili, si crea il percorso trans, come se fossero una casta, oppure persone handicappate, e dunque una specie protetta, tipo foche monache/monaci.

Non abbiamo nessuna intenzione di scherzare su Drag Queen e i cosiddetti “travestiti”, ma ci domandiamo come e a chi vengano certe idee. Davvero esiste un corridoio di Palazzo Chigi o dintorni dove circolino siffatti cervelli fumanti alla ricerca di specializzazioni inverosimili da finanziare grazie a trovate da teatro dell’assurdo? Sì, esiste. Questi addetti stra-pagati come tutti i funzionari della presidenza del Consiglio, con la loro corte di esperti, creano categorie e sottocategorie di discriminati per razze ed etnie, e con la scusa delle pari opportunità, trasformano qualcosa di serio e spesso drammatico nell’occasione per creare nuovi specialisti nel mungere soldi dallo Stato. Si badi alla data: il bando è datato 14 luglio. Quando fu pubblicato si discuteva in Commissione della proposta di legge Zan-Boldrini-Scalfarotto e Cirinnà contro l’omotransfobia. Essa approderà domani in aula. Mi chiedo. Una volta che quella norma sarà votata e andrà in vigore, se uno dice che questo bando fa schifo, che gli succede? Potrà essere denunciato e sottoposto a processo? Dipende dal magistrato: se cioè ritenga che esprimere questa opinione semini odio oppure no. Nel dubbio meglio non dir nulla, la vita è già abbastanza complicata. E che l’Arcigay o qualsiasi altra benemerita associazione Lgbt si spartisca pure i 163mila e rotti euro, non moriremo poveri per questo.

INCROCI PERICOLOSI
Se però uno qualsiasi, ad esempio io, scriverà che un simile provvedimento governativo è una finzione ideologica, pura propaganda per reclamizzare e banalizzare la mobilità di sesso, e per di più discrimina milioni di giovani che non avranno l’opportunità di frequentare corsi gratuiti per l’autoimprenditoria, allora la denuncia e la condanna sarebbero assai probabili. Qualora poi si invitassero questi giovani a protestare in piazza in nome del principio di uguaglianza contro il privilegio concesso ai transgender e soprattutto alle lobby di riferimento, la galera sarebbe sicura. Chissà quanti rivoli ci sono di questo genere pretestuoso che sfuggono al controllo dell’opinione pubblica. Bisognerebbe monitorare l’infinità di sgocciolii resi obbligatori dalla nuova religione di Stato, che è l’adorazione delle minoranze, solo quelle però politicamente corrette. Le altre crepino, o appunto siano appese ai lampioni come oscurantiste. Forse è più oscurantista chi pretende di sbattere in cella il dissidente il quale invece di agitare violette linguistiche, agiti lo spadone dei bar sport. Etimologicamente si chiama diverbio. La rottura tra le opinioni non può diventare mai materia penale, con la scusa che chi non agiti il turibolo al totem progressista sia il tramite dell’odio. Assurdo? Allora accadrà. Quando qualcuno organizzerà un sit-in contro l’utero in affitto, vedrete che proporranno di spedirlo in gattabuia. Anzi gattobuio, viva la parità di genere.