Sottomissione – Recensione (prima parte)

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Inizierò dicendo che non è facile recensire Sottomissione, il grande successo narrativo del francese Michel Houellebeck: il romanzo, uscito nel 2015, fu subito un grande successo, nonché un caso letterario eclatante nella sua Francia, uno dei paesi con il tasso di presenza musulmana non autoctona più alto d’Europa. Ma, al di là del mero dato demografico, il nodo della nostra affermazione d’apertura sta nel fatto che Sottomissione, nonostante la sua trama assolutamente lineare e priva di improvvisi scarti narrativi e il suo contenuto chiaro, diretto e banalmente evidente, è in realtà un romanzo molto più concentrato, complesso ed involuto di quanto non possa sembrare all’apparenza.
Esso viene (a torto) generalmente situato nella categoria della narrativa distopica, ma potrebbe in realtà essere considerato più come una sorta di Bildung Roman al rovescio, non un romanzo di formazione, ma di involuzione e, se vogliamo, di distruzione: Sottomissione è la storia di una tragedia esistenziale individuale, che nella sua assoluta solitudine diviene al contempo la storia della tragedia collettiva di centinaia di milioni di atomi impazziti dispersi in tutta Europa. Crediamo che, finalmente, si cominci a capire perché non sia facile recensire Sottomissione…
Ma andiamo con ordine.
Vicenda narrativa (contiene spoiler)
Il protagonista di questa tragedia è Francois. Francois, di cui (e non a caso, forse) non ci è dato conoscere il cognome (al contrario degli altri personaggi del romanzo) è un realizzato professore ordinario di letteratura francese all’università di Parigi III – Sorbona. In particolare, Francois è uno dei maggiori esperti francesi del romanziere Huysmans, alter-ego del professore e, in certo senso, co-protagonista della vicenda: Francois, per quanto non del tutto consapevolmente, segue anche lui i passi della vita del suo “oggetto” di studio, anche se la conclusione del suo percorso sarà terribilmente simile (ma anche speculare) a quella del letterato francese.
Comunque sia, Francois, nonostante la sua autorevole e ben retribuita posizione sociale, è apertamente consapevole di essere un fallimento sotto il punto di vista umano: la sua vita accademica si riduce a ricerche e conventicoli di nicchia, ha prodotto due soli lavori degni di nota, a 40 anni suonati è single e non ha mai avuto seri coinvolgimenti sentimentali, al posto dei quali indulge in storielle della durata di un semestre o di un anno accademico con le sue studentesse (l’ultima è Myriam, ha 20 anni e rotti ed è ebrea e il particolare sembra interessare molto Francois e per un motivo ben preciso, anche se se ne renderà conto solo più avanti), i suoi legami familiari sono del tutto distrutti (non vede i genitori da anni, i quali hanno divorziato), la sua vita sociale è fondamentalmente non pervenuta, accusa profondamente la mancanza di una dimensione spirituale (nei confronti della quale però prova una irrimediabile sfiducia, così come nei confronti del periodo della conversione cristiana di Huysmans, che non riesce ad apprezzare e a comprendere veramente), infine non ha alcuna ragione di sentirsi francese e di provare un qualsivoglia “attaccamento” nei confronti del suo paese.
Purtuttavia, è un professionista stimato, dotato di un lauto stipendio e, in fondo, con una vita sessuale più che passabile: è lo stesso Francois a riconoscere che il “cazzo” (esclusivamente così chiama il suo pene e, all’interno del romanzo, dal tono nel complesso educato e rispettoso, la vita sessuale è l’unica cosa che Houllebeck descrive in modo eccessivamente e grottescamente volgare: e anche qui, forse, non ci troviamo di fronte a una scelta “maleducata” e occasionale) è la sua unica fonte di piacere. Insomma, Francois può considerarsi nel complesso, nonostante le mancanze profondamente avvertite, un francese di successo: o almeno è così che gli altri (la società) lo vedono.
Ma tutto questo è destinato presto a cambiare. Infatti, nel bel mezzo della sua normalissima vita, sta per sopraggiungere uno sconvolgimento totale, per quanto apparentemente silenzioso: nelle prossime presidenziali, infatti, per la prima volta il concorrente diretto del primo partito di Francia, il Front National, non sarà il Partito Socialista e neppure il Centro-Destra. La Fratellanza Musulmana, partito di ispirazione apertamente religiosa ma con una patina repubblicana e l’esplicito progetto di fondare una nuova Europa musulmana, sforerà il tetto del 22% e sfiderà Marine Le Pen, la quale verrà sconfitta al secondo turno dal solito “blocco repubblicano”, nel contesto del quale Centro-Destra e Partito Socialista si venderanno all’avversario politico musulmano.
Sono queste elezioni (e in particolare i risultati incerti del primo turno) a far smuovere qualcosa dentro l’animo di Francois, qualcosa di assolutamente atavico e naturale, per quanto il professore sia restio ad ammetterlo: la paura. Francois non è un fascista, non è nemmeno un uomo di destra o un patriota, non sa nemmeno in quale strana galassia vivano gli identitari, ma è un ateo (o meglio un agnostico) convinto, è un “secolarista”, un figlio del progressismo: e la possibilità di una transizione confessionale musulmana della Repubblica Francese lo mette in uno stato di ansia mai provato prima.
E’ qui che inizia il percorso personale di Francois, alla ricerca di un senso di cui percepisce la mancanza, ma di cui non riesce a intravedere la forma, un senso alla cui ricerca è portato da null’altro che dalla paura (le premesse non sono quindi delle migliori). Così come sarà la stessa paura a fargli credere di poter trovare una compagna nell’ebrea Myriam, che invece emigrerà in Israele con la famiglia a causa del pericolo musulmano: Myriam, prima di ritornare nella sua terra promessa, saluterà in lacrime Francois, che si troverà costretto a risponderle riconoscendo amaramente che lui non ha nessun posto in cui tornare. Di nuovo, un riconoscimento messo in moto dalla delusione, a sua volta scaturita da un rapporto alimentato solo dalla paura.
E’ a questo punto che, consigliato da un nuovo collega appartenuto all’area identitaria, Francois lascia momentaneamente Parigi, in attesa che terminino le elezioni e che eventuali scontri si plachino. Ed è in questo contesto, durante il suo viaggio per la Francia sud-occidentale, che Francois si troverà di nuovo a sentire il richiamo dello spirito e della religione, che in quei luoghi trasuda ovunque dalle pietre delle antiche e grandiose chiese gotiche e romaniche medievali.
Per qualche giorno, proprio come Huysmans, crederà anche di essere vicino a una conversione, si recherà a soggiornare perfino in un monastero. Ma, alla fine, tutto si esaurirà nel banale desiderio carnale di fumare una sigaretta nella sua cella, desiderio brutalmente represso dal rilevatore di fumo… Di nuovo fragili velleità, vane aspirazioni di un uomo guidato dalla paura e, ancor più, dal nulla.
Le elezioni giungono al termine, i musulmani vincono, Ben Abbes è il nuovo presidente musulmano (ma stranamente rassicurante) della Repubblica, tutto cambia, eppure nulla sembra esser veramente cambiato. La realtà è che Ben Abbes è un grande animale politico e, anche se tutto sta per cambiare, si adopera a far sì che ciò accada in maniera sottile, silenziosa, felpata, spesso in paradossale accordo con l’elettorato più nazionalpopolare e conservatore della Francia.
Spariscono determinate attività commerciali immorali, le adolescenti non scendono più in strada vestite come se dovessero andare a prostituirsi sugli Champs Elysees, buona parte della criminalità extra-europea (in Francia di fatto musulmana) sparisce nel nulla e Parigi ritrova una normale e apparente serenità, con un tasso di criminalità che da tempo non si ricordava così basso.
A Francois non interessa poi granchè delle dinamiche di fondo di una rivoluzione religiosa: gli basta tornare alla sua normalità, ma sempre con quel suo solito senso di mancanza, che non riuscirà a colmare coi servizi di escort.
Ma un vero, enorme cambiamento giunge infine nella sua vita: i sauditi comprano di fatto l’università Parigi-III, che diviene un ateneo religioso. Buona parte del corpo docente viene epurata e chi rimane è tenuto a convertirsi all’Islam, cosa che molti professori sono ben contenti di fare, vistisi triplicare lo stipendio grazie alla munificenza dei principi del petrolio. Ma Francois è sfortunato: l’università infatti lo cerca mentre lui è in giro per la Francia sud-occidentale e il nuovo rettore musulmano (il francese bianco ed ex-identitario cattolico professor Rediger) è costretto a licenziarlo con una cospicua pensione.
Francois, anche se se ne rende conto tardi e molto lentamente, è distrutto dall’avvenimento. Prima aveva solo Huysmans: ora non ha più nulla. Oltretutto, suo padre e sua madre muoiono, lasciandolo irrimediabilmente solo, ancora di più di quanto non fosse già. Tra l’altro, noterà Francois, suo padre, un uomo rude, grigio, monotono, era riuscito comunque a risposarsi e a ritrovare un amore che a Francois sembra sincero: lui, invece, di certo meno monotono del padre, è irrimediabilmente solo e non ha mai conosciuto l’amore, anche se è uno stimato docente universitario in pensione.
La tragedia, però, dura poco (almeno quella professionale). Rudiger, il nuovo rettore, lo cerca di nuovo, si mette in contatto con lui, mentre la Fratellanza Musulmana continua la costruzione della nuova Francia, rendendo binario il sistema di istruzione statale: ogni francese avrà la possibilità di seguire il classico percorso laico, o di iscriversi a quello islamico.
Ovviamente, questo comporta uno sdoppiamento dei fondi del ministero: la scuola pubblica, già disastrata, vede le sue condizioni colare a picco, col piccolo dettaglio che quella musulmana è foraggiata dalle petro-monarchie e (Francois e i suoi interlocutori ne sono sicuri) alla fine i francesi finiranno per iscrivere i loro figli al percorso religioso.
Comunque sia, Francois, poco interessato a tutto questo, conosce il nuovo rettore e rimane affascinato dalla sua personalità e dalla sua storia personale: Rediger è un uomo profondo e perfettamente consapevole del fatto che l’Europa, al crocevia tra XIX e XX secolo, ha definitivamente abdicato ai suoi sogni di gloria e alla sua identità e si è avviata verso l’autodistruzione, abbandonando Dio.
E’ anche convinto che il Cristianesimo abbia ormai esaurito il suo ciclo vitale e che non sia più in grado di salvare l’Europa: ecco perché Rediger, identitario, cattolico e orgoglioso francese ed europeo, si è convertito all’Islam. Perchè, a suo dire, l’uomo, le nazioni, l’Europa non sono nulla senza Dio; e, ora, l’unico Dio vivo è quello del Profeta.
Francois, per quanto scettico, sembra convinto: in fondo Rediger è un bell’uomo, carismatico, di successo; e ha anche due mogli, una quindicenne per i trastulli notturni e una più attempata per le pratiche domestiche (forse ne ha anche una terza?); ed entrambe sembrano amarle, così come Rediger sembra essere un uomo felicemente consapevole di essere amato, da Dio, oltre che dalle sue due mogli. E Francois si sente ancora solo e abbandonato: dalle donne e da Dio.
E’ a questo punto che la china verso il finale del libro si fa sempre più ripida. Mentre la Francia cambia lentamente volto (senza una singola protesta, senza un sussulto, senza un moto di rivolta o di rifiuto, ma anzi con quella che sembra essere una lieta accettazione di una sicurezza ritrovata nelle strade e di un ritorno a una sana moralità dei costumi garantita dal Profeta), Francois decide di accettare l’offerta di Rediger e di tornare a lavorare per la sua università, ormai di proprietà saudita e decorata da eleganti illustrazioni calligrafiche di versi del Corano. Ha una sola preoccupazione, prima di convertirsi: quella della scelta delle sue future mogli.
“- C’è anche… Cioè, è una cosa molto delicata… Diciamo che l’abbigliamento islamico ha i suoi vantaggi […], ma […] quando ci si trova a dover scegliere, può creare qualche problema…
Il sorriso di Rediger si fece ancora più largo:
– […] In quanto alle donne, le mezzane hanno ovviamente il diritto di vedere le donne spogliate, di effettuare quella che non si può definire che come una specie di valutazione, e di mettere in rapporto il loro fisico con la condizione sociale dei futuri sposi. Nel suo caso, posso garantirle che non avrebbe di cui lamentarsi…
Tacqui. A dire il vero, rimasi a bocca aperta.
[…] Stava in qualche modo aprendomi degli orizzonti”.
Questa l’ultima preoccupazione del professor Francois, nuovo adepto del Corano: avrebbe potuto scegliere le sue donne? Sarebbero state abbastanza piacenti? Ma Rediger lo rassicura ampiamente. E’ fatta. Francois non sarà più solo…
E’ in questo stato d’animo che lo studioso di Huysmans pronuncia il suo giuramento e la formula di adesione (imparata mnemonicamente) alla fede di Maometto, concludendo così la sua trionfale giornata, nonché il romanzo stesso:
“Ciascuna di quelle ragazze, per quanto bella potesse essere, sarebbe stata felice e fiera di essere scelta da me, e onorata di condividere il mio talamo. Sarebbero state degne di essere amate; e io, per parte mia, sarei riuscito ad amarle.
Un po’ com’era successo, anni prima, a mio padre, avrei avuto una nuova opportunità; e sarebbe stata l’opportunità di una seconda vita, senza molto nesso con la precedente.
Non avrei avuto niente da rimpiangere”…