a cura della redazione di RigenerazionEvola
Sempre sull’interessante tema della burocrazia e dei rapporti tra Stato e corpi intermedi, proponiamo quest’articolo che Evola, sempre in periodo guerra, scrisse per la rivista lavoristica “Carattere” nel gennaio 1942. Emerge qui, in particolare, l’importanza del rispetto del principio “organico” delle competenze, da contrapporre al criterio “disorganico” del generalismo, tipico delle democrazie, e causa di quell’approssimazione, incompetenza ed improvvisazione che sono alla base di tanti disastri, soprattutto a livello legislativo, nonché tecnico-amministrativo, nelle società contemporanee. All’epoca, Evola non poteva non far notare come anche in questo ambito (come peraltro in tanti altri) la Germania nazionalsocialista, anche grazie al retroterra saldissimo della tradizione prussiana del Secondo Reich, era notevolmente più avanti dell’Italia fascista, nonostante l’impegno profuso. Ciò era ravvisabile in vari contesti “applicativi”, diciamo così, da quello militare a quello industriale, commerciale, economico in senso più ampio, dove l’armonizzazione tra interesse dei lavoratori e dei datori di lavoro trovava una realizzazione compiuta nelle singole imprese, conciliando competenza, lealismo e solidarietà virile e gerarchica in un’azione comune.
Ovviamente, non dobbiamo dedurre dall’analisi di Evola che la tecnica e la specializzazione debbano sovrastare la politica. Semplicemente, è la politica che non deve perdersi in un’autoreferenzialità fine a sé stessa, ma aprirsi alla realtà delle comunità che è chiamata a dirigere e guidare, assorbendo le forze vive della comunità stessa, comprese le competenze e le specializzazioni anche tecniche, per convogliarle sotto il proprio alveo, ordinarle, articolarle, dando loro un’anima. In tal modo, tali forze vengono orientate verso un fine superiore, impedendo che esse rimangano slegate dal corpo unitario dello Stato, diventando corpi a sé stanti, pericolosi organismi-ombra, lobbies, in grado di entrare in conflitto con la politica e lo Stato stesso, di condizionarli e di orientarli a rovescio verso i propri fini egoistici, fino a minare l’interesse superiore dell’intera comunità organicamente intesa.
***
di Julius Evola
Tratto da “Carattere – rassegna del lavoro italiano”, 20 gennaio 1942
Una caratteristica del sistema germanico è lo speciale riconoscimento accordato al principio delle competenze. In questo punto si può anche indicare una delle differenze che, in vari campi, ancora sussistono fra i criteri nostri e quelli prevalenti nella nazione amica.
Non senza riferimento al famoso mito della “genialità latina”, persiste da noi l’idea, che delle competenze si possano improvvisare e, in via particolare, che basti una qualche qualificazione politica perché, con una certa applicazione, dall’oggi al domani si sia in grado di risolvere o di chiarire, come dirigente, una serie di problemi tecnici, ai quali in precedenza non si era mai o solo superficialmente dedicati. Il fascismo, con la trasformazione corporativa del sistema parlamentare, ha dato certo un grave colpo a questo sistema di pretta origine democratica. La stessa battaglia è tuttavia da vincere anche in altri settori, per mezzo di interventi precisi, e non di semplici programmi.
Prendiamo il caso della “burocrazia”. È caratteristico il significato che essa già aveva nei precedenti regimi dell’Europa centrale, di contro a quello proprio alle nazioni democratiche. Si sa che cosa era e, in parte, che cosa è ancora la burocrazia, in questo secondo caso: un corpo privo di autorità e di prestigio, con personale pletorico, male retribuito, pedante, schivo di ogni vera responsabilità, con procedure farraginose – e, in alto, “onorevoli e ministri investiti del potere governativo, cioè politicanti, e pertanto quasi sempre incompetenti, che con disinvoltura, ad ogni mutar di gabinetto, afferravano o si scambiavano i vari portafogli. Nei regimi autoritari dell’Europa centrale tutto ciò era inconcepibile. Era una specie di tradizione, che le più alte cariche del governo fossero quasi sempre affidate a funzionari di carriera, perché, si pensava, ben pochi, più del funzionario, avrebbero dato affidamento oltre che di competenza e di esperienza acquisita in lunghi anni di carriera, anche di devoto attaccamento allo Stato.
Ciò procedeva da un secondo tratto caratteristico: dal fatto, che il potere del sovrano si manifestava non solo formalmente, ma anche effettivamente attraverso la burocrazia, tanto che la famosa antitesi tra burocrazia e classe dirigente politica si trovava già a priori superata.
Il servizio allo Stato aveva una sua dignità e un suo prestigio: esso significava un onore e un privilegio, ed è così che poteva accadere di essere più ambito di ogni altra carriera o professione. Non era raro il caso di esponenti di famiglie assai facoltose o dell’aristocrazia dell’Europa centrale ambire già a cariche come quella di un semplice segretario di prefettura, laddove si sa bene che cosa significasse ciò in regime democratico: un semplice pis aller, il ripiego di chi non aveva in vista una occupazione più redditizia privata o di chi preferiva borghesemente un posto modesto ma “sicuro” agli incerti delle professioni libere.
Dal sentimento di orgoglio e di onore e dal carattere già politico che ha avuto la burocrazia nei regimi autoritari di razza germanica ha derivato uno “spirito” ben preciso di essa, vicino a quello di casta in senso buono, mentre lo “spirito di corpo” della burocrazia democratica, se mai, è stato vicino a quello di una camarilla mafiosa o di una solidarietà da loggia. Vogliamo dire che nel primo caso la burocrazia aveva uno stile che, connesso all’esperienza e alla competenza e, dall’altro lato, al lealismo, si trasmetteva senza interruzione agli elementi nuovi che entravano man mano a far parte delle organizzazioni statali, soprattutto se si trattava poi dell’amministrazione interna, della diplomazia, dell’esercito, ove una forte selezione assicurava alle cariche un massimo di omogeneità per favorire efficacemente il mantenimento della tradizione.
Ora bisogna rendersi conto che buona parte della forza palesemente dimostrata dalla Germania attuale si connette a possibilità, che ad essa sono venute dalla Germania precedente proprio in connessione al principio delle competenze, della tradizione e dell’onore: principio, aggiungiamo, che, peraltro, nell’Europa centrale, si riaffermava anche in zone importanti esterne allo Stato.
La riuscita di Hitler, più che con la creazione di qualcosa di effettivamente nuovo, si spiega con un uso geniale e, in pari tempo, prudente e tempestivo, di queste forze del popolo tedesco. Si potrebbero citare esempi numerosi e concreti, i quali dimostrano che Hitler ha sempre evitato di assumere delle iniziative a vuoto e di far, per così dire, dei colpi di testa in senso improvvisatorio. In ordine ad ogni decisione importante, nel campo economico come in quello finanziario, sociale o militare, Hitler ha affidato sistematicamente ad un gruppo di competenti lo studio oggettivo di un dato problema, in tutti i suoi dettagli. Assistito da tecnici, avendo ben presenti tutti i termini della quistione, come essi sono realmente e non come, per un senso falso di adulazione, essi potrebbero esser preparati da chi presenta quel che un capo desidererebbe o da chi ha ricevuto una data parola d’ordine, Hitler ha l’uso di determinare e di agire.
Così la Germania attuale, malgrado il suo antico conservatorismo politico, si è ben guardata dal ledere praticamente le fila preziose delle precedenti tradizioni. Anche la diplomazia nazista è prevalentemente affidata a dei “von”, cioè esponenti di una aristocrazia già specializzatasi ereditariamente nella carriera, così come l’esercito germanico, nelle sue parti dirigenti, ha di nuovo un massimo di elementi formati dalla precedente educazione e tradizione militare del secondo Reich. Tutto ciò se potrà sembrar retrogrado allo spirito borghese, con la dovuta trasposizione di piano non è invece lontano dal sano modo di giudicare di un operaio o di un artigiano: il quale sa bene quale prezioso, insostituibile bene sia un’arte che non è semplicemente “imparata”, ma che viene trasmessa come una tradizione, quasi parallelamente al sangue, legandosi, per tal via, ad una vera vocazione e ad un sentimento d’orgoglio. Chi lavora, agisce, crea per tal via, dispone di una forza, che non si può conseguire con nessun espediente e con nessuna improvvisazione e per la quale lo stesso parlar di “competenza” è, in fondo, troppo poco.

“Allora come oggi, rimaniamo camerati”: nel manifesto dell’Arbeitsfront nazionalsocialista, l’operaio ed il tecnico, come soldati del lavoro, sono uniti sullo stesso fronte
In Germania, come abbiamo accennato, lo stesso sistema e le stesse consuetudini di affermano spesso fuor dalla vita propriamente statale. Così esistono, e sono ben note, delle vere e proprie dinastie di capi dell’industria e del commercio, uomini che continuano le stesse iniziative onorate e rinomate dei loro padri in forme nuove, ma con lo stesso spirito, avendo sotto di sé, spesso, la nuova generazione della precedente maestranza. È vero che il giudaismo ha fatto di questo settore l’oggetto principale dei suoi attacchi, mobilitando tutte le risorse dell’insidia capitalistica. Tuttavia una parte sufficiente dell’antico fronte ha tenuto fermo e dalla nuova economia nazista è stato ormai definitivamente sottratto al pericolo di questa deviazione.
Accenniamo ad un esempio particolare del principio delle competenze, che può valere per vari altri. In Germania un titolo accademico – a meno che non sia tecnico (p.es. di ingegnere, di medico, ecc.) – non dà nessun privilegio per aspirare a divenir ufficiali. Il professore di filosofia, l’avvocato, il filologo di fama sono arruolati come semplici soldati al pari di un lavoratore o di un rurale: solo dalle loro qualità puramente militari si giudicherà se, gradatamente, possono divenire qualcosa di più. La selezione è rigorosa, esclude ogni criterio estrinseco. Altro esempio. Si sa che chi aspira a far parte dell’arma aerea è sottoposto ad una serie di prove di resistenza. In Germania si è andato oltre. I corpi di spedizioni in Africa non sono stati costituiti comandando semplicemente l’una o l’altra divisione: i soldati sono di massima sottoposti ad una prova di temperatura in appositi ambienti, per misurare approssimativamente le loro reazioni di fronte al clima africano.
Un riflesso del principio delle competenze in Germania si ha nello stesso ambito della organizzazione nazionalsocialista del lavoro. Come è noto a molti, quella armonizzazione fra lavoratori e datori di lavoro, che in Italia viene realizzata collettivamente nelle Corporazioni, in Germania invece si cerca di realizzarla all’interno di ogni singola azienda: la nuova organizzazione delle aziende tedesche è tale, che ognuna di esse riproduce in piccolo quel consiglio misto armonizzatore, che corrisponde al principio della nostra corporazione.
È così che ogni dirigente d’azienda va ad aver presso di sé una rappresentanza delle maestranze al titolo di una specie di consulenza, perché in questo consiglio aziendale non si trattano solo i problemi dei salari, degli orari, ecc., ma si possono anche esaminare e discutere insieme varie direttive di produzione o di organizzazione. Di nuovo, qui si affaccia l’esigenza, che chi dirige deve mantenersi in stretto contatto anche con i gradi più subordinati delle competenze. Che, poi, in ciò non si abbia nulla di simile ai “consigli di fabbrica” di famigerata memoria, risulta già nella terminologia della organizzazione tedesca delle aziende: Führer und Gefolgschaft, cioè “Capo e sèguito”, in senso quasi feudale. Ritorna cioè, presso al principio delle competenze, quello del lealismo, della solidarietà virile e gerarchica in una azione comune. La presenza, nei consigli in quistione, di un incaricato del Partito, dà poi la possibilità di venir a capo in modo adeguato, con un intervento estraziendale, di quei casi nei quali dall’una o dall’altra parte, si passasse il limite delle legittime mansioni.
Come si è ricordato e come è noto ad ognuno, il principio delle competenze, in sede teorica, è anche un caposaldo della rivoluzione fascista. Quanto alla sua realizzazione pratica metodica e coerente, devesi però riconoscere che da noi sono ancora presenti delle lacune e delle indecisioni. La Germania, per via della sua precedente, più fortunata tradizione, si trova, nella stessa direzione, spesso più avanti. Il suo esempio può valerci come incitamento ad una realizzazione più totalitaria dei nostri stessi principii, cosa che a noi tornerà come un titolo ancor più alto di merito, appunto perché spesso noi siamo costretti a costruire quasi dal nulla là dove, invece, nella nazione amica, si è trattato di riprendere, di utilizzare intelligentemente e di sviluppare qualcosa di preesistente, che durante l’intermezzo di Weimar era solo passato allo stato di latenza.
L’immagine in evidenza è tratta liberamente e senza modifiche da pixabay.com (free simplified pixabay license; author: mwitt1337).