(a cura della Redazione di AT)
All’interno del panorama della Rivoluzione conservatrice, ottimamente delineata da Adriano Romualdi nel suo Correnti politiche ed ideologiche della destra tedesca dal 1918 al 1932, s’inserisce appieno l’economista e sociologo tedesco Werner Sombart (Ermsleben, 19 gennaio 1863 – Berlino, 18 maggio 1941), la cui folta produzione intellettuale s’incentrò massimamente sulla critica al capitalismo e al marxismo, come è ben visibile proprio dal libro Metafisica del Capitalismo, edito dalle Edizioni di Ar. Esso rappresenta una raccolta di estratti delle opere maggiori dell’autore tedesco, e dunque fornisce un’ottima sintesi ed un autorevole punto di osservazione dell’esegetica sombartiana.
La critica al capitalismo di Sombart non si ferma ad una mera disamina dei rapporti di produzione o ad una analisi tecnico-scientifica: al contrario essa ha come pilastro l’individuazione delle mentalità che hanno facilitato l’emergere del capitalismo; quei complessi valoriali alla base dell’agire dell’uomo capitalista.
Al fine di riconoscere questo insieme di disposizioni dell’animo, è necessario, secondo Sombart, fare un passo indietro, ossia osservare lo stato delle cose in una economia precapitalista e premarxista, affinché le differenze tra il prima e il dopo risultino evidenti.
Nella realtà antecedente al capitalismo esisteva la cosiddetta “economia di erogazione”, nella quale l’uomo governava l’economia plasmandola secondo i suoi bisogni di sussistenza; egli produceva tanti beni quanti ne consumava; non esisteva plusvalore. Dunque il fine di ogni attività economica era il soddisfacimento del bisogno. Tale meccanismo era permeato da una concezione eminentemente qualitativa e non brutalmente quantitativa, ben visibile, secondo Sombart, dall’atteggiamento con il quale il contadino o l’artigiano si approcciavano al loro lavoro. Il prodotto da essi plasmato non era un oggetto grigio e asettico, l’uno uguale all’altro, bensì una creazione artistica dotata di una soggettività donatagli dal suo creatore.
Il passaggio di stato si ebbe proprio con il capovolgimento delle priorità in seno al binomio qualità-quantità; con la fine dell’economia di erogazione e con la moltiplicazione dei bisogni.

Se da un lato dunque il mutamento interno alla dicotomia qualità-quantità assurge a criterio esplicativo per spiegare il passaggio da un’era all’altra, dall’altro è necessario, secondo Sombart, precisare che da esso discende un’altra ed egualmente importante opposizione: quella tra spirito aristocratico e spirito borghese. Proprio quest’ultimo finisce sotto la lente d’ingrandimento dello studioso tedesco, elevato da esso – insieme allo spirito d’impresa – ad elemento fondante lo spirito del capitalismo.
Specificato preliminarmente che la borghesia non è una classe sociale, ma un insieme di comportamenti e mentalità insite nell’uomo, Sombart precisa quali siano le predisposizioni dell’animo costituenti la razza borghese: avarizia, egoismo, il perseguire l’utile ad ogni costo, l’essere calcolatori ed uno smisurato istinto di autoconservazione sono le caratteristiche salienti del borghese. Esse devono esser fatte tacere in luogo delle virtù eroiche e solari alle quali, quotidianamente, bisogna tendere.
La raccolta è poi arricchita da alcuni passi provenienti dal testo Gli errori del marxismo, grazie ai quali è possibile cogliere appieno le modalità con le quali Sombart riesce ottimamente a confutare le tesi di Marx. L’opera di decostruzione dell’architettura marxista è incentrata nel verificare l’assoluta fallacia del dogma della superiorità dell’industria e della sua inevitabile affermazione. Caduto questo paradigma tutto l’edificio è destinato a crollare: senza infatti il dominio della grande industria, nemmeno la polarizzazione della società in borghesia e proletariato ha trovato compimento. L’esistenza di corpi intermedi impediva lo scontro immaginato da Marx.
La raccolta infine è arricchita da un passo tratto da Il socialismo tedesco dello stesso Sombart.
Sombart chiarisce che, a differenza del socialismo proletario – che è un “capitalismo capovolto” -, il socialismo tedesco abbraccia l’intera nazione; esso non è parziale, bensì totalitario. Benché abbia una così ampia capacità, il socialismo pensato da Sombart riconosce i limiti entro i quali deve agire: esso non può redimere l’uomo, non vuole sostituirsi a Dio, rifugge una prospettiva atea e prometeica. Al contrario, esso deve consentire all’uomo di sviluppare le sue capacità per servire meglio Dio e per contribuire alla gloria della sua Comunità.

Per fare ciò, secondo l’autore tedesco, è necessario fondare una Kultur che poggi sulla totale disapprovazione della sopravvalutazione dei beni materiali e del primato dell’economia. Questa supremazia deve essere sostituita dai valori della santità e dell’eroismo, che deve permeare tutto il popolo.
Grazie a questo insieme di valori gli uomini potranno rafforzarsi interiormente e tendere il proprio animo verso tre qualità evidenziate da Sombart:
Calma e tranquillità. Fortemente profetico, l’autore individua come uno dei mali dell’uomo moderno la frenesia e la smania, attribuendo ad esse nient’altro che un sintomo di debolezza e vuoto interiore. La radice di questo male è la cieca fede nel progresso: “Nessuna epoca sana e forte si è fatta prendere dalla pazzia del progresso. […] Una vera civiltà può sorgere soltanto presso al predominio della Tradizione”.
Oltre che essere tranquilla, l’anima dovrà anche diventare libera. Una libertà concepita non per dare libero sfogo ai propri istinti e al proprio arbitrio, ma indirizzata a liberare l’uomo dai vincoli che lo incatenano mediante l’osservanza di una disciplina.
Infine, l’anima sarà lieta. Essa potrà essere tale solo se tende verso un terzo elemento: “Dio e Patria”.
Eccola, dunque l’importanza di Sombart: quella di rischiarire l’orizzonte del presente dalle buie, ma al contempo luccicanti, sirene del borghese che è in ognuno di noi.
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Werner Sombart, Metafisica del capitalismo
Edizioni di Ar, 1994. 160 pp.
Prezzo: 14 €
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