SIT AUTEM SERMO VESTER: SIT SIT NON NON
IL VOSTRO DIRE SIA DUNQUE SÌ, SÌ, NO, NO
Sui muri della Scuola militare Teulié di Milano – precisamente sulle pareti del passaggio tra il Cortile Giulio Cesare e il Cortile Primo Tricolore – è riportata un’epigrafe, tratta dal Vangelo di Matteo (5, 37), che recita «Sit autem sermo vester: ‘est, est’, ‘non, non’», ovvero «Il vostro dire sia dunque sì, sì, no, no!». Per la verità, il versetto evangelico è riportato in latino, da un lato, e in greco, dall’altro («ἔστω δὲ ὁ λόγος ὑμῶν ναὶ ναί, οὒ οὔ»). L’invito racchiuso in questo celebre motto evangelico è di facile comprensione: si tratta di un invito alla chiarezza, alla sincerità, alla trasparenza, contro ogni falsità e ipocrisia [Tosi 2017, 258]. Cristo esortava i suoi a non giurare, in ragione del fatto che il giuramento è da considerare superfluo se l’eloquio è sempre sincero: infatti, tutto ciò che è sovrabbondante, rispetto ai chiari e limpidi «sì» e «no», «viene dal maligno». La ‘doppiezza’ interiore che discende da queste ambiguità e torbidezze godono di una forza centrifuga che allontana l’uomo dal centro del suo Sé: il maligno «divide» e «separa». L’essenzialità delle affermazioni sovrane e delle negazioni assolute si scontrano con il verbalismo e la dialettica di colui che è sempre alla ricerca di scuse, alibi, giustificazioni.
L’uomo dalla «razza sfuggente» di evoliana memoria, che vive nella menzogna e nell’autocommiserazione, aggiunge sempre qualcosa alle sue risposte: non è mai un semplice e chiaro «sì» o un diretto e aspro «no» il suo. C’è sempre un «Sì, però…», un «No, ma…». «Parla poco» – ammonisce Codreanu: «parla quando occorre», ma soprattutto «di’ quanto occorre». D’altra parte, il Capo della Legione ritorna spesso su questo aspetto [Codreanu 2002, 47]. Come deve essere un legionario nel parlare e nello scrivere? «Il legionario deve essere conciso, chiaro e preciso. Le chiacchiere lunghe e contorte sono le chiacchiere della democrazia». Questi sono elementi essenziali del carattere di un «uomo del movimento» [Evola 2008, 31]: il suo stile rifugge dalla verbosità, dagli ‘spagnolismi’, dalla retorica sentimentale. «Pobre in palabras, pero in obras largo», si diceva, invece, dell’antico tipo spagnolo di origine romana. Lo stile romano, infatti, è «caratterizzato dalla chiarezza, dalla sobrietà, dal guardar ai fatti e dal procedere in azioni efficaci, invece di appagarsi di grandi parole» [Evola 2005, 44].