Habemus Governo Draghi, e quanto poco ci è costato…ma quanto ci costerà da qui in avanti. Le forze politiche si sono messe da parte, tutte hanno detto sì all’ammucchiata (tranne Fratelli d’Italia) e sono state ben contente di deporre l’ascia di guerra e inchinarsi di fronte al banchiere taumaturgo, che con le sue mani guarirà la Nazione.
Quello che stiamo vivendo è un momento storico che va compreso e studiato con cura, soprattutto da coloro che perseguono un’altra via rispetto a quella dei politicanti al governo, ovverosia la via dell’Onore, la via della Giustizia e della Verità. Proprio per questo è nostro dovere esaminare con attenzione la piega farsesca e parodistica presa dal nostro Paese sempre più allo sbando. Questo perché la politica e i politici rappresentano, in un modo dell’altro, il popolo che li ha eletti. Comprendere le forme e le dinamiche di questo nuovo governo significa dunque poter capire più approfonditamente gli Italiani, o meglio la parte peggiore degli Italiani: l’anima dell’uomo di razza Mediterraneo di cui ha parlato con grande chiarezza Julius Evola.
L’uomo di razza Mediterranea, secondo il pensatore romano, era infatti il furbo per eccellenza, l’essere umano -uomo o donna che sia- che fa della maliziosità, della furberia e della capacità di fottere l’altro le sue qualità “superiori”. L’uomo di razza mediterranea è quello che parla tanto e fa poco, predica bene e razzola malissimo. L’uomo del “tengo famiglia” e del “chi te lo fa fare!”; l’uomo che ha sempre una scusa per evitare prese di posizioni coerenti che potrebbero creargli problemi ora o in futuro. Insomma, la definizione perfetta dei nostri politici e politicanti, tutti in cerca di una scena dove esibire la propria
vanità e tutto il proprio ego esibizionista: l’antitesi dell’antica massima romana esse non haberi. Sia chiaro, ognuno di noi combatte ogni giorno contro questo piccolo uomo, pronto al rancore, all’odio e al sotterfugio.
Ogni militante infatti sa che deve combattere tutte le mattine una battaglia contro il proprio ego ed il proprio io. Ci sono persone, invece, che sono ben contente di farsi dominare, possedere e comandare da questo spirito mediterraneo; e come abbiamo già detto, c’è una grande varietà di questa razza di persone che siede fra Camera e Senato.
Abbiamo i Leghisti del “mai col PD” e “mai con la Sinistra”, che, nella ricerca di consensi verso quell’Europa che fino a poco fa volevano smontare, si sono felicemente inchinati di fronte al primo bankster che l’Europa ha proposto. Questa Lega, ormai a trazione Giorgettiana, sarà una riproposizione un po’ più destrorsa del vecchio PDL: atlantista, europeista e sempre più tesa verso la “normalizzazione”.
C’è poi il Partito Democratico, che ha fatto del suo nome una garanzia di inciuci, sudditanze, compromessi e matrimoni forzati. Esatta copia del PD ma con colori diversi è ormai divenuta Forza Italia; non è un caso se nel nuovo governo sono tornati vecchi nomi forzisti (Brunetta-Carfagna e Gelmini), visto che è stato Silvio Berlusconi a lanciare il Mario Draghi politico-banchiere. Al loro fianco stanno seduti compiacenti tutto un pulviscolo di partiti e partitini che contano poco e nulla ma che sono ben consapevole che, se si dovesse tornare a votare, con la nuova legge e il taglio dei parlamentari sarebbero definitivamente fuori da ogni gioco e lontani da ogni poltrona.
La gemma più preziosa e luccicante della corona che Mario Draghi ha indossato è tuttavia il Movimento 5 Stelle: ovvero il tutto contrario di tutto, l’apoteosi dell’uomo Mediterraneo e del poltronismo più ignorante. Un movimento nato sull’onda del Vaffanculo e dell’antipolitica che non ha fatto altro che incanalare il voto del malcontento per reindirizzarlo nell’alveo del sistema politico più corrotto. Dovevano “aprire il parlamento come una scatola di sardine”, e invece alla fine si sono adagiati sulle poltrone che sono riusciti a conquistarsi di compromesso e compromesso. Uomini e donne che hanno fatto della fluidità, della vigliaccheria e dell’ipocrisia i loro cavalli di battaglia.
In tutto questo i veri sconfitti non sono i politici, che manterranno i loro posti, o coloro che hanno una visione del mondo Tradizionale, ma tutti quelli che invece avevano accolto Draghi come il salvatore della Patria. I primi infatti hanno mantenuto i loro stipendi e le loro mani sui luoghi di potere, i secondi non si aspettavano niente né mai si aspettano (e aspetteranno) niente dal gioco democratico figlio della sovversione; mentre gli ultimi avevano scommesso tutto sulle grandi capacità di leadership del bankster che ha “salvato l’euro”.
Quanti amici e parenti in questi giorni si sono infatti lanciati in ovazioni per Draghi, nella speranza che finalmente avremmo avuto un governo di persone competenti e di tecnici capaci. Vane speranze, visto che tornano Speranza, Di Maio e Franceschini insieme ad una pletora di vecchi e nuovi nomi che poco hanno di diverso da chi sedeva prima in quegli stessi uffici.
Ad accomunare tutti i politici del nuovo governo è però quella ammirabile capacità di cadere sempre in piedi, di gestire le leggi a proprio piacere, di rigirare la frittata ogni volta che è necessario.
Uomini e donne che hanno confuso l’intelligenza con la furbizia, l’onore con le prebende e gli stipendi, l’azione con le vane parole, il parlamento con il loro teatro personale; ma che hanno in comune l’obiettivo di fregare gli Italiani dopo averli abbindolati per l’ennesima volta. A governarci sarà dunque un circo pieno di animali e bestie esotiche. Questo circo sarà però diverso da tutti i circhi che ci hanno preceduto, perché questo avrà lo stampo d’approvazione dell’Unione Europea e dell’alta finanza mondiale.
E a tutti quelli che, suggestionati dai mass media nazionali, si sono abbandonati a pensieri di speranza e rinascita, vogliamo ricordare come siano andate le cose la prima volta che abbiamo avuto un “tecnico” banchiere alla guida del governo. Il suo nome era Mario Monti.
A questo politicante perfetto esponente della razza mediterranea è bene anteporre l’uomo di razza Romana. Come scriveva Evola: “[…] il modello migliore sarebbe proprio quello costituito dall’antica razza di Roma, lo stile sobrio, severo, attivo, scevro da esibizionismi, misurato di consapevolezza calma della propria dignità”. Un uomo che ha fatto suo lo stile monumentale, monolitico degli antichi romani e che si riconosce nell’antico detto spagnolo: pobre in palabras pero in obras largo: poche parole e tanti fatti.
(Tratto da Ansa.it) – Subito dopo si terrà il primo Consiglio dei ministri
Molti i politici, tante le conferme. Ma ai tecnici vanno tutti i ministeri chiave. La nuova squadra di ministri, che registra anche un terzo di donne, è formata e dà spazio a tutti i partiti dell’ampia maggioranza che sostiene l’esecutivo, con – appunto – figure di fiducia del premier in dicasteri chiave. Il premier sale al Colle alle 19 e dopo quaranta minuti di colloquio con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella scioglie la riserva. Come le regole vogliono, poi esce dallo studio del capo dello Stato e legge i 23 nomi. Asciutto nello stile, non aggiunge alcun commento davanti alle telecamere. Solo lasciando il Quirinale si lascia andare per un attimo: “In bocca al lupo”, risponde ai fotografi che lo attendono sommergendolo di flash.
Nessuna trattativa estenuante con le forze politiche: la composizione dell’esecutivo è una partita che l’ex numero uno della Bce ha giocato solo affidandosi ai consigli del Colle, come Costituzione vuole. Ciò non toglie che ci sia voluto ugualmente un complesso lavoro di cesello per trovare i giusti equilibri. Prima il giuramento, poi si terrà il primo Consiglio dei ministri. A metà settimana (da mercoledì al Senato) toccherà infine alle Camere votare la fiducia e a quel punto inizierà la corsa contro il tempo.
L’emergenza sanitaria, economica e sociale – lo ha detto Draghi accettando l’incarico il 3 febbraio – sono le priorità: i temi si intrecciano e molto passerà per il Recovery plan. Che sarà rivisto e reso operativo lavorando fianco a fianco con il sottosegretario alla presidenza Garofoli ma soprattutto con il nuovo ministro dell’Economia e il ministro per la Transizione energetica, che fonderà i temi ambientali e alcune competenze in materia energetica: e qui i nomi scelti, quello di Daniele Franco e Roberto Cingolani, sono fuori dal perimetro dei partiti.
Il M5s viene dunque solo parzialmente accontentato: il contenitore chiesto da Beppe Grillo c’è ma alla guida non va un esponente del Movimento. “Lo abbiamo fortemente voluto”, rivendica su Fb Luigi Di Maio (che viene confermato alla Farnesina) perché “questo è il governo della transizione ecologica”. Parla invece di una presa in giro Barbara Lezzi, tra le voci critiche dei 5s: “Il super ministero non c’è. Non abbiamo votato per questo”.
Finisce sempre nelle mani di una ‘tecnica’ il ministero della Giustizia, tema particolarmente divisivo per i partiti che compongono la maggioranza: a guidare via Arenula sarà l’ex presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia. All’innovazione tecnologica e digitale va invece Colao.
Molti altri ministeri vengono suddivisi fra i partiti. I 5S vedono rappresentate quasi tutte le proprie anime, il Pd anche con l’entrata di Andrea Orlando che guida il Lavoro. I Dem non portano donne però in Cdm. Nicola Zingaretti assicura di volervi porre rimedio: il “tema della differenza di genere è il cuore del programma per la ricostruzione italiana”, dice il segretario rinviando alla nascita del sottogoverno.
A incassare un ministero di peso come lo Sviluppo economico è la Lega: va a Giancarlo Giorgetti, mentre l’ex viceministro all’Economia Massimo Garavaglia prende la guida del Turismo che diventa un dicastero a sé. Ma i leghisti ottengono pure la nascita del ministero della Disabilità. “Imprese, turismo, disabili. Lega da subito al lavoro pancia a terra per aiutare e rilanciare il cuore dell’Italia”, twitta per primo Matteo Salvini.
A Forza Italia vanno tre dicasteri ma tutti senza portafoglio: Brunetta alla Pa, Gelmini agli Affari regionali e Carfagna al Sud. Tutti e tre sono stati al governo con Berlusconi. Draghi sceglie invece la continuità per un ministero fondamentale nella gestione dell’emergenza Covid, quello della Sanità: a guidarlo sarà ancora Roberto Speranza di LeU che ricorda come la salute sia “un diritto tutelato dalla Costituzione”. E questo vale anche per chi non può permetterselo, sottolinea tracciando la linea della propria azione politica. Per Italia Viva torna al governo Elena Bonetti, che si occuperà sempre di Famiglia, e che insieme a Teresa Bellanova con le dimissioni ha ufficializzato la crisi del Conte II.