Con queste parole Leonida, re di Sparta nel 488-480 a.C., figlio di Anassandrida e fratello di Cleomene, mette a tacere un tale che stava sostenendo che l’unica differenza tra il sovrano e i suoi sudditi fosse rappresentata dal ruolo ricoperto.
Leonida è ben consapevole che l’autorità che riveste ha come fondamento la propria qualità morale grazie alla quale si eleva rispetto alla collettività. A Sparta chi ricopre il ruolo di re non è il più forte o il più violento, né il più saggio o il più abile, ma colui il quale incarna quelle virtù eroiche che lo differenziano dalla semplice condizione umana. Il re si riconosce in via naturale, senza bisogno di manifestazioni di forza.
A Sparta la legittimazione dell’autorità del re non dipende dal consenso dei suoi sudditi. Un naturale rispetto della gerarchia che comporta il collocamento di ciascuno nel posto che gli compete, sulla base della maggiore o minore adesione ai valori tradizionali, relativamente ai quali il re è colui che meglio di altri riesce ad incarnarli e a essere esempio.
Nella società spartana il re rappresenta il centro attorno al quale ruota ogni aspetto della vita comunitaria e individuale. Dal re dipendono le condizioni generali di prosperità della città ed è l’unico argine contro derive pericolose. A lui, concepito come il rappresentante in terra dell’accordo con le divinità che partecipano del suo potere, sono riconosciuti i meriti delle vittorie.
Nell’epoca del regime democratico e della legittimazione popolare come principio dell’autorità, è importante ricordarsi che ognuno deve compiere la funzione corrispondente alla propria natura. A chi vuole imporre una visione individualista, materialista e desacralizzata, il militante deve affermare un’identità e una difesa interiore, deve saper riconoscere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, il normale dall’anormale.