Cosa significa essere rivoluzionario oggi?
Pensiamoci. Si è appena concluso Sanremo e, come ogni evento televisivo che si rispetti, abbiamo assistito ad una parata di promiscuità, pagliacciate gender fluid, oscenità varie e ormai noiosamente scontate.
Tutto sembra perfettamente accettato e accolto con plauso dall’intellighenzia perbenista dell’Ariston. Ciò che un tempo era considerato trasgressivo e rivoluzionario oggi sembra accogliere stranamente il favore della vecchia borghesia.
E infatti Achille Lauro è “un artista che parla di libertà”. E infatti a vincere sono stati i Maneskin con le loro tutine “asessuate”.
Niente sembra più destabilizzare una società liquida e sguaiatamente accogliente. Se anche la trasgressione più grottesca e oscena è accettata, e anzi accolta con favore dalla borghesia e dal conformismo ci si potrebbe chiedere cosa è rivoluzionario oggi.
Forse nulla. O Forse quello che questa parola ha sempre designato.
Solo un evento ha sconvolto gli animi della borghesia italiana: la vittoria di un gruppo rock? Le tutine elasticizzate o le défaillance lessicali di vecchie glorie della musica italiana? No di certo.
Udite udite, lo scandalo si è compiuto sul palco. Il più vergognoso di tutti, che è – come al solito – quello di affermare L’ovvio. Il direttore d’orchestra, una donna, ha avuto l’ardire di contraddire il mantra delle femministe radicali, ribadendo che il genere neutro in italiano si rende col maschile, e che quindi non gradiva essere chiamata direttrice ma direttore (come giusto che sia).
Una donna, per di più giovane e bella, che eccelle nel suo lavoro, poteva essere potenzialmente l’eroina delle femministe nostrane con l’allergia alla ceretta. E invece no. Il direttore d’orchestra preferisce non dare corda alle idiozie semantiche del boldrinismo isterico.
L’analfabetismo funzionale, jolly d’ordinanza del radical chic che vuole sminuire tout court l’opinione altrui, qui non può esser calato. La signora è troppo brava e troppo colta. Quindi che fare?
La Boldrini, che sull’insicurezza delle donne ha creato una carriera politica, intervistata sull’argomento addita la Venezi come una “insicura”…
Beatrice Venezi, tra i più giovani direttori d’orchestra al mondo, inserita dalla rivista Forbes tra i 100 leader del futuro viene etichettata dalla paladina dell’antipregiudizio come un’insicura per aver preferito rivendicare il suo talento a prescindere da qualsiasi etichetta rispetto al suo genere.
Lo ripetiamo da tempo. Le battaglie del femminismo radicale non fanno altro che svilire e ridicolizzare la donna.
E allora, conclusa questa ennesima parata del qualunquismo all’italiana chiediamoci: chi è il vero rivoluzionario oggi, Achille lauro o Beatrice Venezi?
(tratto da Huffpost.it) – I nomi al femminile non risolvono niente: le lotte importanti sono altre
“Sono anni che dico di essere un direttore d’orchestra: farlo all’Ariston ha avuto un altro peso”. A parlare, in un’intervista al Corriere della Sera, è Beatrice Venezi, le cui parole “non chiamatemi direttrice, sono direttore d’orchestra” hanno fatto discutere durante il Festival di Sanremo. Ora Venezi dice:
“Lo rifarei. Penso che le lotte importanti, quelle che concretamente cambiano qualcosa siano altre”.
Poi spiega:
“L’ambiente da cui vengo è conservatore. Ci sono le figure del Maestro e del Direttore d’orchestra. La declinazione al femminile non solo non aggiunge niente – non sento la necessità del femminile per sentirmi riconosciuta – ma ci sono dei connotati peculiari: maestra rimanda alla maestra di scuola, un altro lavoro. Se l’obiettivo è avere pari opportunità che senso ha sottolineare una differenza di genere, dividere sempre più così da arrivare a una ulteriore disparità. Io voglio essere una tra i vari direttori d’orchestra. Nei Paesi anglofoni si dice conductor”.
Beatrice Venezi aggiunge:
“Potremmo puntare a un termine neutro. Ma prima mi concentrerei sul farlo diventare un lavoro a cui possano accedere egualmente uomini e donne. Ho lavorato sodo per quello che faccio, conoscendo i pregiudizi e le difficoltà che incontrano le donne: non si risolvono declinando al femminile. È una tematica polemica un po’ sterile, penso anche per le giovani generazioni. Oltretutto credo che non ci sia niente di più potente che essere chiamata direttore e arrivare donna, con i capelli biondi e un bel vestito. Dimostro il mio valore con il lavoro”.