Nuovo appuntamento della rubrica dedicata alla Bhagavadgītā e ai suoi insegnamenti.
Abbiamo spesso ribadito quanto sia importante questo testo di sapienza tradizionale, per poter conformare la propria azione ai principi della Tradizione.
E, mentre ricordiamo lo splendido e fondamentale testo “L’etica del guerriero” di Mario Polia, edito da Cinabro Edizioni, proponiamo questi estratti con i puntuali approfondimenti e gli opportuni chiarimenti di Alessandro Zanconato.
BHAGAVADGITA III, 10-11 – L’ETICA DEL SACRIFICIO
Così parlo il Signore della Creazione, dopo aver generato tutto gli esseri come risultato del sacrificio a Dio Supremo: “Attraverso il sacrificio vi evolverete e prospererete, e soddisferete tutti i desideri”.
Attraverso il sacrificio tu onorerai gli dei e gli dei ti mostreranno il loro amore. E così, in armonia con loro, tu raggiungerai il Sommo Bene.
In una società tradizionale come quella descritta dalla Bhagavadgita, il Sacrificio assume una dimensione non soltanto etica, ma metafisica. Krishna afferma che tutti gli esseri viventi sono generati a partire da un Sacrificio cosmico-teologico: il Signore, Vishnu, di cui Krishna è l’incarnazione, dopo aver partorito le creature, affida loro il Sacrificio quale mezzo supremo per un’evoluzione spirituale che consenta loro di realizzare il Brahman, l’Assoluto, il Sommo Fine dell’esistenza. Se persino Dio, l’Essere eternamente autosufficiente, si sacrifica per il bene dei suoi figli, quanto più gli esseri umani debbono farlo, gli uni per gli altri!
Nell’attuale situazione, in una società che esalta unicamente il piacere quale unico scopo della vita, il termine “sacrificio” è sostanzialmente bandito dal pubblico dibattito. Non se ne sente più parlare, non soltanto nei proclami dei mass media di regime, ma neppure nelle istituzioni educative quali le scuole, che dovrebbero occuparsi di educare al Sommo Bene i giovani, e che invece ne riempiono i cervelli con l’immondizia culturale della propaganda progressista.
Sacrificarsi per il Bene del mondo è invece l’unico fine che giustifichi la nostra breve permanenza su questa Terra: il Guerriero della Tradizione non lo dimenticherà mai.
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La Bhagavadgītā (“Il Canto del Beato”) è considerata a ragione “il Vangelo dell’India”, e fa parte del grande poema epico Mahābhārata (IV sec. a.C.). Si tratta di un dialogo metafisico e morale tra Arjuna, nobile condottiero della stirpe dei Pandava, in lotta contro i malvagi cugini Kaurava sul campo di battaglia di Kurukṣetra (che rappresenta l‘eterna lotta tra il Bene e il Male) e il dio supremo Krishna, avatara di Vishnu e cocchiere di Arjuna. Nel corso del dialogo, il dio istruisce l’anima di Arjuna sull’indistruttibilità del suo vero Sé, l’Atman, e sull’etica dell’azione disinteressata (karma-yoga), fondata sulla rinuncia ai frutti dell’azione, per conseguire la liberazione dalle passioni dell’ego. Gli insegnamenti immortali di Krishna costituiscono l’essenza della Tradizione Primordiale, di cui la Bhagavadgītā rappresenta un gioiello spirituale inestimabile, che risplende di luce propria nell’oscurità dell’attuale Kali-Yuga.