Con questa frase altamente evocativa, Julius Evola ci ricorda i pericoli che derivano dal rilassamento di quelle forze di difesa spirituale che, nell’uomo, lo preservano dall’irruzione delle forze scaturenti dal basso: le forze del caos, della materia e della dissoluzione.
L’insegnamento che indica la necessità di una costante opera di vigilanza su tali forze è antichissimo: lo si ritrova molte volte sia nelle fonti più risalenti (Alessandro Magno che argina le forze del caos agli estremi limiti del mondo, erigendo una muraglia), sia in opere più vicine a noi (si pensi al reinsediamento di Sauron nella Terra di Mezzo, perché “nessuno più vegliava sulle torri”).
Questa opera di costante “guardia ai confini“ è una delle prove più difficili per l’uomo contemporaneo, perché alle sue spalle non troverà acclamazioni da parte di coloro che difende, né il riconoscimento dei propri sforzi, bensì indifferenza o persino derisione.
Lo sforzo stesso, quindi, diventa pietra di paragone per la propria tenuta interiore, in maniera impersonale e priva di un fine egoistico; diventa quell’azione tradizionale che, infatti, è l’unica capace di opporre efficaci argini di resistenza a queste forze dissoluttrici.