tratto dal profilo fb del Gruppo Escursionistico Orientamenti
In tempi di pandemie e di chiusure, avere la possibilità di andare in montagna è un privilegio raro. Nonostante tutto, in qualche maniera riusciamo a regalarci un’altra giornata di sole, sci ai piedi e tanta aria nei polmoni. Abbiamo una mezza giornata libera, ma la faremo fruttare al meglio, salendo con le pelli per la remunerativa Valle del Sole, ai piedi del Monte Terminillo.
Ancora una volta dalle parti del “nostro” duemila di casa, sempre fonte di insegnamento e soddisfazioni.
La salita è tranquilla per la prima parte della valle, poi a metà un bel cambio di pendenza costringe a fare maggiore fatica, con zig-zag sempre più stretti ed impegnativi; infine, l’ultimo strappo prima del passo del -Cavallo, nuovamente ripido, fino all’affaccio sulla Valle degli Angeli.

Oggi optiamo “solamente” per la vetta della montagna di Roma e dopo un po’ leviamo gli sci per proseguire a piedi. Alcuni ragazzi ci precedono di circa una ventina di metri, ramponandosi all’occorrenza.
Parlano tra loro nel momento del passaggio più impegnativo e, un po’ sorpresi, segnalano la presenza di ghiaccio.
Ghiaccio? Ma come? Sono giorni di sopra media, come è possibile ci sia ancora del ghiaccio in quota?! Evidentemente ha tirato vento e, seppure durante la notte non ci sia stato rigelo, l’attività eolica, abbastanza sostenuta, ha fatto la sua parte nei versanti più esposti.
Perfetto, fortuna vuole che abbiamo ascoltato gli altri scialpinisti, visto che i nostri ramponi sono rimasti “simpaticamente” in macchina, nel portabagagli.
Piccozza sullo zaino ma ramponi in auto, ottima scelta! Sbagliando s’impara, è la prima regola per una crescita costruttiva ed oggi la stiamo mettendo perfettamente in pratica.
Non ci fidiamo di salire in vetta senza ramponi, soprattutto nel momento in cui abbiamo capito che ce la rischieremmo, e non poco, per un tratto dove una scivolata sarebbe fatale.
Preso questo bel ceffone educativo, con la coda fra le gambe si torna indietro lungo la cresta, fino alla sella tra le due valli dove eravamo arrivati un quarto d’ora prima.

Non ci attardiamo troppo, poiché per quanto l’ora non sia tarda (non sono neanche le 11.00), qualche sasso ogni tanto viene giù.
Giunti nuovamente alla base della valle, decidiamo di proseguire per le più modeste montagne che abbiamo di fronte, in direzione Monte Elefante, alla ricerca ancora di un po’ di fatica e di qualche altra piacevole discesa.
Una pausa nel bosco ed un rombo inequivocabile ci scuote. Una valanga! Si, è una valanga, cazzo! Dai roccioni del Terminilletto una valanga da scivolamento si stacca e scende giù verso la Valle del Sole.
Il fronte è importante e la massa che corre veloce davanti ai nostri occhi lascia senza parole. C’è ancora chi sta salendo o chi sta scendendo, ma fortunatamente la neve, il ghiaccio, la terra e i sassi, non investono completamente la via di passaggio.
Completamente, appunto; perché dieci minuti prima, su quel lato, o quasi, abbiamo fatto le nostre curve con euforia fanciullesca. Ecco, a distanza di un quarto d’ora circa dal nostro passaggio, forse quel quarto d’ora che abbiamo risparmiato non rischiando di salire in vetta, una bella ed imponente valanga ha scosso gli animi di tutti i presenti!
Nella bellezza del bosco o nella immensità del paesaggio d’altura, nell’aria tersa di una splendida giornata di sole e nella sacralità silenziosa di un Cielo che parla, la leggerezza della montagna, ovvero il sentirsi liberi, veri, semplici, forti, è tra le principali consapevolezze che ognuno, a suo modo ed in base alle proprie facoltà (o qualificazioni), può percepire.

Nel primo caso, è la leggerezza derivante dalla pienezza della vita che, con forza straordinaria, irrompe nell’anima.
Nel secondo caso, è la leggerezza di quella stessa vita che, in un attimo, potrebbe sfuggire via, cancellando la memoria di quei momenti poco prima felici e gioiosi.
Ma dov’è, se c’è, la differenza? Probabilmente non esiste differenza, in quanto sono le due facce della medesima medaglia chiamata vita, dove la consapevolezza del rischio e del pericolo, o semplicemente della fatalità che caratterizza la montagna e che, nei casi estremi, può arrivare fino all’incidente mortale, deve spingere ad essere ancora più bravi, consapevoli, attenti, scrupolosi nella preparazione fisica, tecnica, mentale.
Coraggio sì ma non spavalderia, audacia sì ma non follia; rispetto, sempre: della montagna, degli altri, di sé stessi.
La montagna è una incredibile palestra esistenziale che può e deve aiutare ad essere migliori, a patto di essere sufficientemente umili nel proprio approccio. A patto di percepire quella leggerezza dell’essere che oggi si è manifestata insegnandoci quanto siano vicini i due estremi che caratterizzano l’esistenza umana, la quale, per essere veramente tale, necessita di un costante lavoro di riscoperta, valorizzazione, miglioramento della vita stessa.
Come si fa a perdere tempo rincorrendo la chimera della “conquista dell’inutile”, quando tutto potrebbe terminare, in un attimo, lungo un pendio assolato o una cresta ghiacciata?
Per la cronaca, la giornata prosegue e per altre due ore si sale e si scende sulle panoramiche cime della zona. Cerchiamo in sicurezza i versanti meno esposti al sole, e la scelta è azzeccata: discese da urlo su neve dura, ma non ghiacciata.
Si torna all’auto, alleggeriti delle seriose tristezze di cui parlava Nietzsche e ricolmi della leggerezza dell’essere che ci aiuterà a vivere meglio.
Un piccolo passo anche oggi è stato fatto, lungo il percorso di ascesa verso la conoscenza di noi stessi.