QUESTA È SPARTA – 29

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«Noi spartani siamo rigidissimi nel rifiutare ogni occupazione fissa perché non vogliamo sprecare il nostro tempo in qualsiasi sciocchezza» 
(Le Virtù di Sparta, Plutarco – ed. Adelphi)
Nicandro, re di Sparta nel VIIl secolo, ribatte in questo modo a un ateniese che osserva come gli spartani, diversamente da quanto accade ad Atene, non si dedichino ad altri svaghi.
Agli spartani è assolutamente proibito esercitare un’arte manuale dal momento che la costituzione spartana redatta da Licurgo vieta ogni attività lavorativa continuativa. A tale divieto si aggiunge l’assenza di valore sociale per la ricchezza che comporta il disinteresse degli spartani per l’accumulazione di denaro e per la dedizione agli affari.
Il lavoro nei campi ad esempio è riservato agli Iloti i quali pagano un canone prestabilito che non può essere maggiorato così da consentire loro di impegnarsi alacremente per ottenere guadagni più alti e allo stesso tempo evita che i padroni diventino avidi di denaro.
Gli spartani sono soprattutto e innanzitutto guerrieri, come dimostra un episodio della vita di Agesilao raccontato da Plutarco.
Durante una campagna militare condotta dagli spartani insieme agli alleati viene messa in dubbio la superiorità numerica degli uomini di Sparta.
Agesilao, smistate le truppe, separa i fabbri, i carpentieri, i muratori e i rappresentanti di tante altre professioni finché non rimangono solo i soldati di carriera, quasi tutti spartani.
In un mondo in cui conta solo il profitto e l’ostentazione, per l’uomo moderno, abituato a misurare ogni cosa sul piano materiale e individualista, è molto difficile comprendere la prospettiva spartana.
La vita è una prova di fronte alla quale l’uomo è chiamato a compiere il proprio dovere, libero da qualsiasi aspettativa di ricompensa in questa vita o in un’altra. Bisogna compiere ciò che è necessario superando privazioni e sofferenze, alleggerendosi del proprio Ego.
Per essere grandi non bisogna aggiungere ma togliere.