IL SENTIERO DELLA VITA NOBILE | Il nuoto che deve essere

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Tratto dalla rivista Raido n.32


Il nuoto, da sempre conosciuto dall’uomo, ha origini propriamente storiche antichissime, tant’è che le prime fonti databili risalgono a più di 8000 anni fa, ma fu solo con l’avvento delle civiltà classiche che il nuoto assunse una tecnica vera e propria, divenendo a tutti gli effetti una disciplina.

Proprio nelle civiltà classiche il nuoto assunse un’importanza tale non solo da entrare a far parte di quelle discipline atte alla formazione giovanile e militare, ma da giustificare l’uso a Roma di frasi come: “Non sa nuotare né leggere” per indicare una persona incapace ed inetta, che trova tra i greci l’analoga espressione “Non sa nuotare né correre”. La disciplina del nuoto, lungi dal conoscere barriere, era similarmente praticato dai Samurai giapponesi poiché ritenuta nobile attività e quindi affine al loro rango d’appartenenza.

Il nuoto viene accusato, spesso da parte di chi non lo ha mai praticato come disciplina, di possedere una forte connotazione individualista a dispetto degli sport di squadra in cui il singolo sembra risolversi armoniosamente nell’unità del gruppo, stimolando in questo modo il superamento dei rispettivi egoismi individuali.

Quanto detto è vero solo ad una prima superficiale analisi, infatti chi pratica questa disciplina sa che l’addestramento del corpo e di conseguenza dell’animo, in vista d’una formazione di sé, al giorno d’oggi diviene sempre più difficile a causa del ritmo frammentario e dispersivo della modernità, il nuoto in questo senso per via della sua vocazione “solitaria”, e non per questo individualista come i suoi detrattori sostengono, determina un sereno distacco, fisico e mentale da questi ritmi, permettendo all’atleta di concentrarsi su di se, sia sul piano materiale che su di quello meta-fisico.

Quando si sta nuotando infatti, qualunque sia il luogo, la mente del nuotatore è attenta ai singoli movimenti del proprio corpo, in quanto il nuoto esercita quasi tutti i muscoli, ma è allo stesso tempo distaccata dal mero sforzo fisico.

Nel momento in cui si è in acqua e si sta nuotando, il movimento applicato per assicurare l’efficienza dello sforzo deve essere necessariamente teso all’armonia dei gesti ed allo stesso tempo ad un corretto utilizzo, soprattutto nei tempi e nella misura, della forza di braccia e gambe al fine di non trasformare il movimento in un titanico tentativo di sfondamento della resistenza naturalmente opposta dall’acqua, che anziché ‘premiare’ il nuotatore lo porta inesorabilmente allo sfinimento e quindi all’inevitabile sterilità delle energie rilasciate.

Quasi come se simbolicamente l’opposizione titanica, simboleggiata da un movimento brutale e scoordinato, non riuscisse a superare le contingenze del divenire, l’acqua per l’appunto, ma che ne risulti invece inesorabilmente vinto poiché destinato prima o poi ad essere preda del fluire delle acque. L’armonia, la padronanza ed il controllo di se e dei propri movimenti, sono in questo senso gli unici strumenti per il nuotatore onde non essere dall’acqua travolto e vinto.

Questa disciplina, più di altre, sembra godere di quella potenzialità rigenerativa che “…si manifesta con un richiamo più o meno evidente alla centralità dell’individuo che può preludere all’intervento di virtù eroiche”¹, e ciò è facilmente percepibile da chi, pur avendo speso le proprie energie e le proprie forze nuotando ed arrivando nello sforzo a sfiorare il proprio “limite”, prova quel ‘sentire’ immediato, che altro non è se non la chiara misura della propria potenza e del proprio essere che porta così ad un preciso riferimento interno.

Il nuoto come disciplina, anche se svolto in maniera autonoma cioè non teso all’agonismo sportivo ed al confronto con altri atleti, pone quindi sempre un avversario di fronte, se stessi. Quando si nuota quindi, ancor prima di puntare a superare un nostro eventuale avversario, occorre puntare al dominio delle proprie forze fisiche ed interiori che, se opportunamente convogliate secondo la tecnica acquisita in allenamento, ma soprattutto secondo il canone dell’armonia dei movimenti, può condurre al superamento dell’avversario, che altro non è se non, simbolicamente, la proiezione di noi stessi.

La vittoria è quindi prima di tutto su di se, e poi nella sua dimensione più contingente e di conseguenza secondaria, agonistica. Se il nuotatore perde nel confronto con l’avversario pur avendo mantenuto un controllo ed un dominio su di se, avendo dominato la foga e la brutalità dei movimenti dettati da un’inesorabile stanchezza che è stata però dall’atleta ascoltata, superata e vinta, allora egli ha perso solo una delle tante battaglie che compongono la sua personale, ed in questo caso ‘sportiva’, piccola Guerra Santa ma, l’esperienza vissuta ha inevitabilmente segnato la sua interiorità, che ora un po’ meglio conosce e controlla.

Come molte altre discipline antiche, il nuoto ha una valenza che va aldilà di quella semplicemente materiale ed agonistica, mirando invece al raggiungimento di una armonia tra spirito e corpo. E’ per questa sua nobile origine e per il valore simbolico di cui questa disciplina è carica, che troviamo riferimenti al nuoto ed al concetto del dominio sulle acque in molte tradizioni, a noi più o meno vicine: nella tradizione biblica Gesù cammina sulle acque, in quella romana i gemelli Romolo e Remo abbandonati nel fiume Tevere sono salvati dalle acque e nei Veda della tradizione indiana, il tipo dell’asceta è definito come colui “che sta sulle acque”.

Queste analogie sono motivate dal significato tradizionale che universalmente all’acqua viene data, intesa come ‘corrente del divenire’ e nei confronti della quale, salvato o capace di non affondarvi come dice J. Evola: “è il rigenerato, l’uomo superiore: il veggente o l’eroe, l’asceta o il profeta”², preso invece dalle acque, ovvero incapace di dominarle simbolicamente nuotandovi, è l’uomo volgare. Non è certo un caso che Uomini della Tradizione come Giulio Cesare e Carlo Magno fossero degli ottimi nuotatori, consci sicuramente della valenza simbolica e metafisica che questa disciplina possiede.

Ai giorni nostri il nuoto, come la quasi totalità delle discipline più antiche fatta forse eccezione per alcune arti marziali orientali rimaste fedeli agli insegnamenti che diedero loro origine, è spogliato d’ogni accezione superiore anche se il suo significato superiore può venire ancora colto, seppur in maniera minore e di sicuro più difficilmente a causa di un’esistenza non più rivolta al Sacro, da chi intende e vive questa disciplina come lavoro su di se, per migliorarsi e per conoscersi, in funzione di quella volontà nel verificarsi che è l’unico mezzo per acquisire il dominio e la conoscenza di noi stessi.

Solo allora sarà possibile cogliere l’essenza più intima e profonda, che può rendere questa disciplina parte della personale militia super terram quotidiana ed esistenziale.

 

 

 

¹ D. Rudatis

 

² J. Evola, “La forza rivoluzionaria di Roma”, Fondazione Evola