Confini violati, clandestini e il teatrino della politica nostrana

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In un libro di qualche anno fa, l’autrice Kelly M. Greenhill ragionava su come l’immigrazione clandestina fosse diventata un’arma geopolitica dalla grande efficacia. L’opera, dall’evocativo titolo di “Armi di immigrazione di massa”, rifletteva soprattutto sull’effetto che l’immigrazione clandestina di massa venne usata nel corso del Novecento come strumento politico da parte dei paesi africani, e non, per ottenere risorse, denaro, e accordi politici agevoli dai partner europei e mediterranei. A distanza di anni possiamo dire che questo libro è invecchiato benissimo, come dimostrano i fatti di Ceuta della settimana scorsa.

È infatti noto che l’assalto di ottomila e più marocchini e africani alla frontiera spagnola di Ceuta fosse una ritorsione politica voluta dal governo marocchino. Come sottolinea l’ambasciatore del re Mohamed VI, Karima Benyaich: “Ci sono azioni che hanno delle conseguenze”. La colpa del governo spagnolo è stata quella di aver accolto in un ospedale il leader del Fronte Polisario per l’indipendenza del Sahara Occidentale Brahim Ghali, acerrimo nemico di Rabat. La risonanza dell’assalto alla frontiera spagnola si è irradiato in tutta Europa, suscitando sdegno e reazioni differenti.

Ormai da anni argomento di primo piano nella politica italiana e internazionale, la difesa dei confini e l’immigrazione clandestina di massa sono alcuni fra i temi caldi che animano la politica dell’Italietta liberale. Di fronte al caso spagnolo si sono infatti riaccesi anche in Italia i riflettori sui continui sbarchi che stanno avvenendo sulle nostre coste. Sbarchi che, ricordiamolo, violano non solo le leggi vigenti, ma anche le direttive anti-covid che stanno opprimendo da tempo gli Italiani e a cui i clandestini sembrano essere esenti. La destra italiana è tornata ad insistere sul controllo dei confini, o il blocco navale, e su una nuova collaborazione con la marina libica che, durante il governo gialloverde, aveva effettivamente funzionato bene. Di fronte alle rimostranze di Lega e Fratelli d’Italia il ministro Lamorgese, nella più consolidata prassi della sinistra italiana, ha tentato di abbassare il dibattito politico con una sfortunata e infelice battuta: “Se mi date un consiglio dove metterli magari risolviamo il problema”.

Probabilmente la Lamorgese non ha le capacità di coordinarsi con il ministro della Difesa o con le Forze Armate per fortificare con uomini e mezzi il nostro confine marittimo, ma di questo non ci sorprendiamo. Non ci sorprende nemmeno vedere la grande differenza fra politici italiani e spagnoli di sinistra. Il premier socialista spagnolo, Pedro Sánchez, è infatti intervenuto tempestivamente sulla vicenda dicendo a tutti gli spagnoli:

«Voglio comunicare agli spagnoli, specialmente a quelli che vivono a Ceuta e Melilla, che ristabiliremo l’ordine con la massima celerità. Saremo fermi di fronte a qualsiasi sfida. L’integrità di Ceuta come parte della nazione spagnola sarà garantita dal governo con tutti i mezzi disponibili».

La politica italiana si è dimostrata ancora una volta un teatrino, dove la sinistra a trazione PD sfrutta ogni possibilità per lanciare le sue battaglie sullo Ius Soli e l’immigrazione. Costoro sostengono l’immigrazione per partito preso, strumentalizzando gli immigrati sia per lucro che per realizzare i loro fini politici. Non c’è niente di umano nel traffico di esseri umani che, con la compiacenza delle ONG e di affaristi senza scrupoli, insanguina il mare Mediterraneo. Migliaia di uomini e donne, soprattutto asiatici secondo le ultime stime, pagano infatti esorbitanti somme di denaro a scafisti per farsi traghettare in mezzo al mare per poi essere abbandonati con il rischio di morire affogati. Intanto ONG compiacenti e in contatto con gli scafisti lucrano sull’attività di taxisti della morte come gli antichi mercanti di schiavi. Non comprendere l’intrinseca malvagità di questo traffico di esseri umani vuol dire essere conniventi dello schiavismo del nostro secolo.


(Tratto da rainews.it) – Ceuta-Marocco, una frontiera caldissima

È l’epilogo della cronaca di una crisi annunciata: in meno di 24 ore più di 8.000 migranti hanno attraversato i confini di Ceuta, l’enclave spagnola nel nord del Marocco che s’affaccia sullo Stretto di Gibilterra. L’ultimo, clamoroso episodio nei complessi rapporti diplomatici tra Marocco e Spagna, divenuti di nuovo critici nelle ultime settimane.

Una frontiera caldissima Succede da molti anni: i migranti cercano regolarmente, spesso rischiando la vita, di entrare a Ceuta per  stabilirvisi; oppure per cercare di raggiungere, da lì sulla costa, il continente europeo che è vicinissimo: appena 17 km di là dal mare. Le ultime 48 ore hanno tuttavia sorpreso le autorità spagnole per il numero degli ingressi. 8.000 persone.

Ben oltre la media annuale di quelli che cercano di arrivare alla “frontiera europea nel territorio africano”: così le autorità spagnole descrivono Ceuta e Melilla (l’altra città-enclave, 225 km a Est). Per i marocchini sono solo due città occupate dalla Spagna, strascico e testimonianza di una storia piena di conflitti tra le due sponde del Mediterraneo. Sgarbo diplomatico Per chi conosca la storia dei due Paesi non è difficile comprendere che il flusso migratorio procedente dal Marocco è, più che altro, una misura di ritorsione nei confronti della Spagna.

È parte di un “dialogo continuo” tra Madrid e Rabat che cambia di forma ma mai di sostanza, fatto com’è di un’agenda ricca di spinose divergenze. Si ragiona, si fa diplomazia con i gesti, più o meno simbolici e rituali. Il primo gesto è stato l’annullamento di un viaggio di Stato che il primo ministro Pedro Sanchez avrebbe dovuto effettuare in Marocco. Era diventata una tradizione, ormai, che la prima destinazione estera dei presidenti del governo spagnoli fosse Rabat.

Sanchez non ha potuto rispettarla per motivi ancora non chiariti. La questione del Sahara Occidentale Una spiegazione per questa crisi specifica c’è, e poggia sulle reciproche rigidità relative all’annosa questione del Sahara Occidentale. La presenza di Podemos nel governo di Madrid non è mai stata gradita dalle autorità marocchine, anche perché il Partito di Pablo Iglesias è un convinto difensore dell’autodeterminazione nel Sahara Occidentale, amministrato dal Marocco fin dal 1975, dopo duri negoziati con il governo spagnolo di quell’epoca e che i marocchini considerano come parte integrante del loro territorio.

Il Marocco, da parte sua, ha tutto l’interesse a porre l’intera questione del Sahara Occidentale all’interno della lotta per la leadership regionale. Secondo Rabat, infatti, è l’Algeria che manovra il gruppo indipendentista del Fronte Polisario, usandolo per trovare uno sbocco verso l’Atlantico e per evitare di negoziare la questione delle frontiere che già nel 1963 provocò la cosiddetta  “guerra delle sabbie”. Bloccato il conflitto all’inizio degli anni ’90 dopo quindici anni di guerriglia, il problema è riemerso alla fine di novembre 2020, quando il trentennale “cessate il fuoco”, concluso tra Rabat e il Fronte Polisario nel 1991, è stato rotto. Un mese dopo, Donald Trump ha riconosciuto la sovranità marocchina su tutto il territorio.

Da allora, il Marocco ha aumentato la pressione affinché la Spagna e la comunità internazionale seguano le orme di Washington. Ma gli Stati dell’Unione europea mantengono ferma la loro posizione: il conflitto deve essere risolto nell’ambito dell’ONU, sulla base di un referendum di autodeterminazione. Il leader del Fronte Polisario ricoverato in Spagna È così importante la questione del Sahara Occidentale per Rabat, che si poteva immaginare la  reazione marocchina al recente ricovero di Brahim Ghali, leader del movimento indipendentista saharawi, in un ospedale spagnolo per i postumi del Covid-19.

Molti media iberici rivelano che la decisione di lasciar entrare Ghali, anche se sotto falso nome e con un passaporto diplomatico algerino, ha suscitato un aspro dibattito nello stesso governo Sanchez. I quotidiani El Mundo e ABC, per esempio, hanno affermato che il ministro degli interni Fernando Grande-Marlaska avrebbe “rifiutato di accogliere in un ospedale spagnolo il leader del Fronte Polisario” e aveva “messo in guardia circa le possibili conseguenze”. Citando fonti governative, i media aggiungono che “la decisione di ospitare il leader del Polisario  è stata presa dalla ministra degli Affari esteri, Arancha González Laya, e approvata da Pedro Sanchez”.

Marlaska era consapevole che l’atto di accoglienza avrebbe riaperto lo scontro con Rabat e ha insistito: la presenza in Spagna del segretario generale del Fronte Polisario ha “irritato il Marocco con la conseguenza del massiccio ingresso di immigrati a Ceuta”. Siamo, insomma, davanti a un’altra puntata di questa lunghissima tragicommedia delle parti, in cui ognuno usa le carte che ha in mano, anche la temutissima pressione migratoria.

Rabat vuole ricordare al governo spagnolo che è un partner essenziale nella gestione dei flussi migratori, in particolare alle frontiere di Ceuta e Melilla. La Spagna sottolinea con fermezza la sua sovranità e il suo diritto di ospitare chi vuole. Il Marocco ha richiamato la sua ambasciatrice. Si può solo aspettare la prossima mossa.