“Amici vitia si feras, facis tua”: tollerando i vizi dell’amico, rendi palesi i tuoi.
Un antico detto latino rende evidente la differenza fra un “amico” nel senso più superficiale del termine e un Camerata.
Non dobbiamo mai temere di far notare ai nostri cari errori o comportamenti distruttivi, altrimenti danneggiamo chi amiamo e degradiamo noi stessi.
Non dobbiamo essere una stampella per difetti altrui, né annegare o indugiare nelle nostre debolezze.
Dobbiamo cercare sempre di essere esempio, per noi e per gli altri.
Rafforzarci e – se possibile – consentire agli altri di rialzarsi.
Se gli altri perseverano nel volerci deboli, viziosi, avviliti, non sono per noi.
Non dobbiamo indugiare in inutili sentimentalismi, né giustificare le nostre debolezze.
Questo non significa, ovviamente, trasformarsi in bacchettoni moralisti.
È invece necessario avere ben chiaro ciò che vogliamo essere e metterlo in pratica.
Occorre fare ciò che è nostro dovere fare. Eliminare le scorie e ciò che impedisce alle nostre potenzialità superiori di manifestarsi.
Al contrario, l’azione di rettificazione deve partire da noi stessi e, se necessario, deve estendersi all’ambiente che ci circonda. A costo di sembrare bruschi o poco “empatici”.
Serve recuperare un rapporto con gli altri improntato a chiarezza, schiettezza, sincerità.
È il cameratismo che prevale sul sentimentalismo.