Immaginate una donna, un’atleta, una che mangia pane e allenamento, riso e sudore, pasta e sacrificio tutti i giorni. Si scopre brava, forte e vincitrice. Ambisce a una carriera seria nel mondo dello sport: può essere considerata a tutti gli effetti una ‘donna che ce la sta facendo’, una di quelle che le femministe strumentalizzerebbero e renderebbero simbolo di ‘odio verso il maschile’, mentre invece si tratta solo di una ragazza fortissima che pratica lo sport in modo esemplare.
Immaginate, però, che questa ragazza si ritrovi a gareggiare contro dei maschi. Maschi veri. Stessa competizione, stessa gara, ma – evidentemente – nature diverse. E risultati diversi. La nostra donna, la nostra ragazza fortissima non vince più, sempre superata dai maschi.
Direte: è una ingiustizia! E’ vero. Direte: non possono gareggiare maschi contro femmine! E’ vero. Direbbero le femministe: è il sopruso del patriarcato sportivo…
Ma c’è un grande ‘ma’ oggigiorno. C’è una grande eccezione – che ormai è la regola: gli atleti maschi che si credono femmine e gareggiano contro le femmine.
Sì, sono maschi. Sono maschi ‘in transizione’, ossia si bombardano di ormoni sperando di alterare la loro natura. Si truccano, magari. Ma sono maschi. E gareggiano contro le femmine. E le battono. Sempre, sistematicamente.
Immaginate allora che quella ragazza fortissima si incazzi, si ribelli, gridi allo scandalo perché – sì! – è una ingiustizia contro le donne… Ma quando contro hai la comunità di erotico-indecisi, quelli delle libertà che non sono libertà ma caos e contraddizione, quelli LGBT*** ti dice male. Molto male. Perché se sei eterosessuale – cisgender, come dicono quelli là in tono dispregiativo – vali di meno. Non hai diritti, non puoi rivendicare niente. Non sei un debole, come loro (che invece sono potentissimi). Non sei un reietto, come loro (che invece sono privilegiatissimi). Sei solo uno ‘normale’… e forse hai qualche problema di mente, direbbero. Perché non ti ribelli alla tua natura, al tuo sesso. Ci stai bene. E ci vinceresti anche le gare sportive, se non ti mettessero contro quegli energumeni maschili imbottiti di ormoni.
E’ un cortocircuito: le donne passano da simbolo della lotta alla discriminazione a vittime sacrificali sull’altare della perversione arcobaleno.
L’incredibile caso di Chelsea Mitchell. La ragazza più veloce del Connecticut denuncia l’ingiustizia con una tribuna su Usa Today, che le cambia il testo sostituendo a “maschi” la parola “transgender”
Zitta, femmina cisgender. È il senso della sforbiciata sprezzante dei redattori di Usa Today alla tribuna firmata da una atleta del Connecticut, pubblicamente redarguita per avere osato utilizzare un «linguaggio offensivo» sulle colonne del celebre quotidiano americano. E cosa ha scritto di così offensivo da richiedere un intervento a gamba tesa della redazione? Ha usato la parola “maschio”.
Usa Today censura Mitchell
Riassunto: Chelsea Mitchell era la ragazza più veloce del Connecticut, finché, come molte altre atlete, è stata costretta a gareggiare contro due velocisti «fisicamente avvantaggiati». Cioè due maschi che si identificano come donne e come tali partecipano (e vincono) tutti i più importanti campionati scolastici e statali di atletica. Lasciando indietro le coetanee, stabilendo nuovi record, soffiando loro trofei e medaglie.Ebbene, la scorsa settimana Chelsea Mitchell invia un “opinion” a Usa Today per affrontare il tema e raccontare perché ha deciso di imbarcarsi insieme a tante altre ragazze in una causa contro la Connecticut Interscholastic Athletic Conference. Per farlo ha osato scrivere che «i corridori maschi hanno enormi vantaggi fisici» rispetto alle colleghe femmine. Apriti cielo. Pubblicata il 22 maggio, il 26 maggio la tribuna di Mitchell veniva stravolta con tanto di pecetta: «Nota dell’editore: questa colonna è stata aggiornata per riflettere gli standard e le linee guida di stile di Usa Today. Ci dispiace che sia stato usato un linguaggio offensivo».
Stravolta: sì perché nell’articolo la parola “maschi” viene sostituita con «transgender». Con tante scuse, stigma e tanti saluti al senso del pezzo di Mitchell. La redazione non si limita infatti a prendere posizione ma le mette in bocca termini che lei non ha mai usato. E come avrebbe potuto rivendicando il diritto alla concorrenza leale?Ovviamente Mitchell non è stata informata della revisione. L’avvocato Christiana Holcomb della Alliance Defending Freedom (Adf), che rappresenta le ragazze nella causa contro la politica del Connecticut, ha accusato Usa Today di aver messo mano alla tribuna della ragazza quando si è scatenata un’orda inferocita di lettori sui social.
Costretta a perdere
Ha scritto Mitchell: «Ogni volta che arrivo alla linea di partenza, mi ripeto che posso superare le ingiuste probabilità – posso vincere, anche se la gara è contro di me». È successo una volta sola. Poi Mitchell ha perso quattro titoli del campionato statale femminile, due premi del New England e numerosi altri posti sul podio, sbattuta al terzo posto nella corsa di 55 metri nel 2019. Davanti a lei solo loro, due sprinter maschi, ops “transgender”. Tempi vi aveva già raccontato la storia di Terry Miller e Andraya Yearwood che dal 2017 vincono tutto. Non hanno mai fornito dettagli sulla loro transizione, di loro si sa che sono sottoposti a trattamenti ormonali e che sono nati maschi.
La legge discrimina le donne
La ragazza non ha offeso nessuno. Ha solo affermato l’ovvio, cioè che il corpo di chi nasce maschio è in media «più grande e forte» di quello di chi nasce femmina. Rivendica il diritto alla concorrenza leale, difesa dal Titolo IX, la legge federale sui diritti civili, che in Connecticut (ma non solo, sono 18 gli Stati che consentono agli studenti transgender di gareggiare senza restrizioni) ha innescato un incredibile cortocircuito del politicamente corretto: non si capisce se tuteli di più i trans in quanto transgender o tuteli di più le donne in quanto cisgender. Secondo la Connecticut Interscholastic Athletic Conference, a cui i giudici hanno sempre dato ragione, «gli studenti che si identificano come donne devono essere riconosciuti come donne» e come tali dovrebbero essere tutelati. «Fare diversamente non sarebbe solo discriminatorio, ma li priverebbe della significativa opportunità di partecipare ad attività educative, compresi gli sport scolastici, basati su stereotipi sessuali e pregiudizi che si cerca di prevenire col Titolo IX».