Hai mai notato quanto sia ricorrente nelle pubblicità il tema del futuro? “Il futuro, insieme”, “in viaggio verso il futuro” e così via, sono ormai slogan dalla indiscussa efficacia per le aziende, specie nel campo delle telecomunicazioni e dell’energia. Le nostre città e i nostri smartphone ne sono pieni. Ma che cos’è questo futuro di cui ti parlano continuamente?
A bene vedere…. Lo conosci già! Quanto potrà questo radioso futuro essere diverso, per esempio, dal… lockdown? Stessa totale dipendenza dalla tecnologia e dalla connessione, sia nel lavoro che nello svago, senza soluzione di continuità. Solo che se in quarantena alzavi gli occhi, ti ritrovavi a fissare il soffitto di casa, mica il cielo stellato delle pubblicità!
Insomma, una vita poco libera e decisamente poco poetica.
Ma, soprattutto (ed è questa una domanda che nessuno dei pecoroni contemporanei si pone) chi l’ha deciso che il futuro che ti aspetta, e che merita di essere costruito, sia proprio questo? Sei libero, o così dicono… e allora perché non hai alternative, non hai vie d’uscita?
Eccoci di fronte ad un grande paradosso della nostra epoca, che ha la presunzione di dirsi l’era della massima libertà, ma dove l’uomo non è libero di costruirsi il proprio futuro, perché ineluttabilmente definito dai potenti del pianeta (quelli veri, mica i burattini dei parlamenti).
La verità è che in un contesto capitalistico, questo tipo di innovazione tecnologica incontrollata – con tutte le conseguenze distopiche ed antiumane del caso – finisce per diventare una necessità per le grandi multinazionali, che se si fermassero si vedrebbero fatalmente scavalcate nella cinica corsa in avanti verso il profitto (che è evidentemente nella direzione opposta al bene comune!).
Più in generale, però, è opportuno chiedersi come un aspirante uomo della Tradizione debba porsi rispetto a questa vera e propria “febbre del futuro”. Ebbene, la Tradizione insegna a non proiettarsi in un passato che non esiste più, né in un futuro che non esiste ancora, ma a vivere il presente, qui ed ora. Il mito dell’avvenire, infatti, nasce dalla “incompiutezza di fronte alla Verità”, dal “sentimentalismo incurabile di chi né sa né può portare con sé il peso del mondo assumendolo nell’istante divino. Con le spalle ostinatamente volte a ciò che è, si attende curiosamente ciò che non è, ciò che sarà, e si aspetta la convalida di un sogno da un riflesso illusorio del sogno stesso in una marcia notturna di fantasmi che il presente solo genera nella spontaneità del suo flusso e del suo miraggio”. (1)
Una tale speculazione sull’avvenire “fa dimenticare i tesori del passato e l’immediatezza tangibile del presente, in cui solo si è realmente […] nell’unità essenziale del punto, […] occhio eterno di Dio”. (2)
Consapevole, dunque, che la Tradizione non risiede in un passato da rimpiangere, né in un futuro lontano da aspettare passivamente, ma nell’eternità attuale dei princìpi, sempre validi e suscettibili di essere realizzati nel mondo, chi ambisca ad un posto sul fronte dello Spirito, è chiamato a costruire nel presente una alternativa al ‘loro’ futuro. Così facendo, ad illuminarne il cammino non sarà alcun “sol dell’avvenire”, ma la sfavillante luce che promana dall’eternità dei princìpi.
NOTE
(1) G. De Giorgio, L’attimo e l’eterno, in Tradizione e Realizzazione Spirituale, Cinabro Edizioni, p.130
(2) ibidem