Nuovo appuntamento della rubrica dedicata alla Bhagavadgītā e ai suoi insegnamenti.
Abbiamo spesso ribadito quanto sia importante questo testo di sapienza tradizionale, per poter conformare la propria azione ai principi della Tradizione.
E, mentre ricordiamo lo splendido e fondamentale testo “L’etica del guerriero” di Mario Polia, edito da Cinabro Edizioni, proponiamo questi estratti con i puntuali approfondimenti e gli opportuni chiarimenti di Alessandro Zanconato.
BHAGAVADGITA VII – LA FOGLIA DI LOTO
5-7 Krishna disse:
Colui che, al momento di morire, ha la mente a me solo rivolta, lasciando il corpo, e in tal modo compie la sua dipartita, quello appunto viene a Me; non c’è dubbio alcuno.
Quale che sia il modo di essere al quale uno pone mente, quando alla fine abbandona il suo corpo, ad esso, o figlio di Kunti, egli giunge, poiché è costantemente assorbito nel pensiero di esso.
Perciò in tutti i momenti ricòrdati di Me e lotta. Se avrai anima e intelletto concentrati su di me, a Me soltanto tu verrai, senza dubbio.
L’insegnamento che Krishna impartisce ad Arjuna è chiaro: ciò a cui rivolgiamo costantemente la mente determina il nostro destino, sia nel mondo terreno che nell’aldilà. In qualche maniera, possiamo dire che siamo ciò che desideriamo maggiormente: i nostri aneliti più profondi sono lo specchio più veritiero della nostra natura profonda. Anche il Dhammapada, nella tradizione buddhista, afferma una tale verità (I, I versi gemelli)
Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo
è il frutto della nostra mente.
Ogni parola o azione
che nasce da un pensiero oscuro
è seguita dalla sofferenza,
come la ruota del carro
segue lo zoccolo del bue.
Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo
è il frutto dalla nostra mente.
Ogni parola o azione
che nasce da un pensiero puro
è seguita dalla gioia,
come l’ ombra ci segue,
inseparabile.
E Marco Aurelio (Ricordi, VII 3):
Ognuno vale tanto quanto le cose a cui dà importanza.