Anche quest’anno il Fronte della Tradizione si è raccolto all’ombra dell’Etna per il Campo Estivo. Il carattere annuale e ciclico di questo appuntamento gli conferisce una dimensione quasi rituale che scandisce la nostra vita dei militanti: si raccolgono i frutti di un anno di impegno, e si semina in vista dell’anno alle porte.
Per una settimana, usciamo dalla vita ordinaria per raccogliere e organizzare le forze della resistenza al mondo moderno in quella che ormai è la “fortezza” edificata negli anni dai nostri fratelli maggiori di Heliodromos, segno tangibile di come in tempi sempre più fluidi e virtuali, ma anche sempre meno liberi, tra green pass e restrizioni varie, per non farsi schiacciare sia fondamentale costruire strutture concrete e durature intorno a cui stringersi, per poi espandersi ed agire al di fuori.
Lontani dalle scuole fatiscenti e degli uffici alienanti delle nostre città, ma anche dalle nostre case in cui periodicamente provano a rinchiuderci – vuoi per i lockdown, vuoi per DAD o smartworking – la settimana trascorre intensa, seguendo il ciclo del sole, respirando all’unisono il ritmo della Comunità. La mattina è dedicata al lavoro manuale, o meglio all’azione. Con serenità, divisi in squadre, si svolgono le mansioni che ci sono affidate, dal sistemare il tetto della struttura che ci ospita, al riparare una ringhiera o tagliare le cipolle in cucina: ogni lavoro è un’occasione per metterci alla prova e conoscere gli altri ragazzi, provenienti da altre zone d’Italia e con i quali, ci si rende conto, si condivide molto, nonostante la distanza fisica.
Tutto ciò insegna proprio il senso del dono: donarsi con gioia, fare del proprio meglio, pur sapendo – ed è questo distacco che rende sacra l’azione – che non saremo quasi mai noi a beneficiare dei frutti di questo lavoro. Piccoli gesti, sotto il sole, tra la polvere, le spine e la terra, che insegnano tanto a chi, come noi, è abituato a vivere la propria vita borghese corredata da ogni tipo di comfort.
Ritornati ad una dimensione più autentica del vivere, qui comprendiamo come niente in natura si ottenga senza sforzo. Il pranzo e la cena non piovono dal cielo, non arriva un rider in bicicletta a portarceli, ma sono preparati con amore e con il tempo necessario dai ragazzi della squadra cucina. Per questo i piatti sono accettati da tutti senza inutili lamentele, ed il pasto ritorna ad essere un momento di condivisione e gioia. A seguire, il canto che irrompe impetuoso verso la pianura, sigilla ogni sera lo spirito comunitario che ci unisce.
A nessun ragazzo “sensato” verrebbe in mente di trascorrere le vacanze di agosto in un campo di lavoro? Pazienza. A noi invece sì, perché sentiamo l’esigenza di confermare la nostra appartenenza ideale alla Tradizione con una adesione concreta ed effettiva, che ci distingua dalla massa nei fatti e non nelle parole.
Qui siamo liberi, qui siamo vivi. Non sentiamo la mancanza delle comodità, dei telefonini che non facciamo squillare e delle tante cose superflue che abbiamo lasciato a casa. Ma sappiamo che il mondo che vediamo di sotto, in lontananza, che fa da panorama alle nostre serate d’agosto, è il vero campo di battaglia. Lo vorremmo più lontano, ma è lì che ci attende, e ci vuole pronti. Ancora una volta, lo affronteremo rinsaldati da momenti e giorni come questi.
Dopo il riposo pomeridiano, ci si dedica all’approfondimento, con cineforum ed incontri di formazione. Il tema di quest’anno è stata la morte, grande spauracchio dei nostri tempi. La paura della morte, a ben riflettere, è stata infatti il motore dei comportamenti individuali e collettivi in questo anno e mezzo di pandemia. Fondamentale per noi è allora capire che cosa sia la morte nella visione del mondo Tradizionale e come affrontarla: un momento di passaggio a cui prepararsi vivendo ogni giorno come se fosse l’ultimo, non nel senso di lasciarsi andare ad ogni eccesso, ma di compiere quotidianamente il proprio dovere, santificando la nostra vita dedicandola a ciò che la trascende e la rende degna di essere vissuta, la Tradizione.
Una preparazione in tal senso può venire dal confronto con la sofferenza, con cui abbiamo fatto i conti nelle due giornate dedicate all’escursione. Non potendo puntare al cratere a causa di una (spettacolare) eruzione, abbiamo optato per una lunga marcia nel parco dell’Etna, con tanto di pernotto sotto le stelle. Il ritorno è stato però più lungo del previsto, e reso davvero duro dalla temperatura schizzata oltre i 40 gradi, con già diverse decine di chilometri sulle gambe, la gola asciutta e ben poca acqua rimasta nello zaino. “Colonello non voglio l’acqua, dammi il fuoco distruggitore!”: ancora una volta, l’esempio dei nostri eroi ci ha aiutato a ridimensionare il nostro travaglio e far tacere il nostro io, superando i nostri limiti e pensando al fratello al nostro fianco arrivato allo stremo prima che a noi stessi, condividendo con lui quello che rimaneva della nostra razione.
Un passo dopo l’altro, combattendo silenziosamente il borghese che alberga dentro di noi. In montagna così come nella nostra vita, perché vita est militia. Milizia che anche nell’anno che volge al principio, e che si preannuncia ancora più duro del precedente, affronteremo con le armature rafforzate dal fuoco del Vulcano.