Questi anni di pandemia, di dittatura sanitaria, di chiusure e lockdown hanno avuto diverse conseguenze negative su svariati aspetti delle nostre vite. Tuttavia, si possono evidenziare degli aspetti sicuramente positivi e uno fra questi, che ha inciso sulle abitudini delle persone, è stato un generale ritorno alla frequentazione della natura e della montagna in particolare. Una notizia positiva direte voi. Soprattutto per noi che sempre abbiamo cercato di promuovere una vita tesa alla conoscenza dell’ambiente e della natura che ci circondano, e di un rapporto e un confronto sano dell’uomo con esse.
Questa nuova abitudine, però, della massa non sempre può essere considerata del tutto positiva. Sicuramente, da un lato vi è il pericolo di vivere la montagna solamente come un’esperienza sportiva, per tenersi in forma e scuotere la noia della quarantena. Dall’altro, ci sono dei pericoli ancor più visibili che possono essere riscontrati in questa nuova frequentazione della montagna: persone, spinte dalla moda, dalla vanità e dai cattivi esempi, stanno mettendo in pericolo l’integrità della montagna e la propria vita affrontando questa esperienza con leggerezza.
Come accennato in precedenza, complice le quarantene e le chiusure dei mesi precedenti, pochi sono stati gli svaghi concessi, oltre il telelavoro, e fuori casa fra i più gettonati ci sono sicuramente le camminate all’aperto (entro l’orario dell’insensato coprifuoco). Di conseguenza i sentieri di montagna sono stati presi d’assalto come non mai. Frotte e frotte di persone annoiate e impotenti contro la Pandemia e le -a volte ingiustificate- restrizioni, si sono improvvisate camminatori ed escursionisti. Il problema, dunque, è stato che la maggior parte di queste persone non si metteva in cammino per mettersi in gioco, affrontando la montagna con lo spirito corretto e la giusta attenzione, ma per rincorrere il selfie più spettacolare, le foto più belle. A volte perdendo anche la vita.
L’attenzione, come ormai è abituato a fare l’uomo del mondo moderno, è stata tutta rivolta a sé stessi e al proprio ego, che vuole essere soddisfatto con una bella foto spettacolare.
Come possiamo constatare non sempre la frequentazione della montagna è positiva e fonte di crescita interiore e comunitaria.
Qualche voce fuori dal coro si è scagliata contro questa cattiva abitudine che ha rischiato di rischia di rovinare la montagna sia da un punto di vista naturale che simbolico. Fra tutte segnaliamo quelle di alcuni albergatori delle Dolomiti e del famoso alpinista Reinhold Messner, i quali hanno ricordato come la montagna sia fatta anche e soprattutto di limiti, di rispetto degli stessi e di reverenza nei confronti di un qualcosa di molto più grande di noi.
È questo il modo ed il punto di partenza con il quale va vissuta la montagna. Da qui si può partire per affrontare davvero la montagna come un’occasione per crescere, un modo per mettersi alla prova, un modo per conoscersi, un modo per essere maggiormente in contatto con Dio. La montagna è molto di più di uno stupido selfie o di una irrazionale e titanica scalata senza cognizione o preparazione. La montagna va rispettata, amata, e poi affrontata e salita. Solo così può essere una porta verso l’alto.
(tratto da tgcome24.it) – In short sul ghiacciaio del Monte Rosa, il Soccorso Alpino s’infuria: rischiano di morire in pochi minuti
Dalla Valle d’Aosta la denuncia del Cnsas locale con tanto di foto dell’escursionista male equipaggiato sulla via normale del Breithorn.
Procede da solo, in una zona ad alto rischio di presenza di crepacci, senza abbigliamento tecnico adeguato, né scarponi, ramponi, casco e corda. Il Soccorso alpino valdostano diffonde le foto di un escursionista sulla via normale del Breithorn, nel massiccio del Monte Rosa, a quota 4.000 metri, e lancia l’allarme. “In caso di caduta in crepaccio – afferma il direttore del Cnsas valdostano, Paolo Comune – questa persona ha pochissime possibilità di sopravvivenza”.
“Oltre alle conseguenze dovute alla caduta e allo sfregamento contro il ghiaccio, la permanenza nel crepaccio, con tale equipaggiamento, non consente la necessaria protezione dal freddo e l’ipotermia severa, che può verificarsi in tempi molto brevi, può portare alla morte”, aggiunge Comune.
“Purtroppo, – conclude, – nonostante i numerosi appelli alla prudenza, questi comportamenti sono molto frequenti. Per questo motivo torniamo a ribadire l’assoluta necessità di muoversi, in montagna, con attrezzatura e abbigliamento adeguati, con le opportune conoscenze del territorio e con la massima prudenza”.
La scorsa primavera un altro alpinista era caduto per 20 metri in un crepaccio in una zona poco distante da quella della fotografia. Equipaggiato in “maniera adeguata”, ricordano i soccorritori, era rimasto semi-sepolto dalla neve che aveva ceduto sotto i suoi piedi e poi salvato in “buone condizioni fisiche”.