
A sentirli parlare in tv, i nostri politici, sembrerebbero uno meglio dell’altro. Uno più dell’altro impegnato a salvaguardare i nostri diritti e soprattutto a vigilare sull’uso dei nostri soldi. A sentirli verrebbe quasi da credergli: non ce n’è uno che non lamenta il cattivo uso del denaro pubblico, non ce n’è uno che non si impegna davanti ad i suoi elettori a ridurre i costi della politica, a ridurre gli sprechi. Certo, a sentirli! Purtroppo mai proverbio fu più azzeccato: tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare…soprattutto in Italia!
La Casta sembrerebbe un’entità misteriosa, indefinita, quasi irreale: ciascuno ne prende le distanze, si smarca…ma allora chi è che fa parte di questa benedetta casta, ci chiediamo! C’è da credergli quando vediamo le loro belle facce sui giornali o sulle reti di regime a ripetere ognuno la solita cantilena, fuggendo le accuse e scaricando ad altri le responsabilità, ai soliti ignoti o all’avversario di turno?!
Delle due l’una: o sono tutti bugiardi o quelli lì della casta hanno almeno il pudore di starsene zitti, così che a parlare ci restano solo le anime pie. Pare evidente che la prima ipotesi sia quella da avvalorare; non sembrano così pudici quando intascano emolumenti da vergognarsi solo a pronunciarne la cifra o quando si fanno fotografare nelle loro belle villone, da star dello spettacolo più che da sobri amministratori del bene comune.
Né tanta pudicizia la dimostrano nella loro opera di amministrazione: i frutti delle loro raccomandazioni sono visibili ad occhio nudo, tanto che in tv come sui giornali, negli uffici pubblici come nei vari, sovvenzionatissimi, enti semi-pubblici, sembra quasi una sfilata di gente incapace, messa lì a fare qualcosa solo perché amica del politico di turno o del partito, non importa quale.
Alla faccia della meritocrazia sbandierata dalla nostra costituzione e dell’altrettanto osannato diritto al lavoro…ma che diritto sarà mai se per poterne trarre vantaggio devi essere raccomandato, accettare trattamenti salariali da precario a vita o umiliazioni di ogni tipo da parte dei datori di lavoro?!
Proprio no. Tutto si può dire della nostra casta, tranne che abbia il senso del pudore! Che ricorrano alla bugia sistematicamente è, per esclusione, l’unica alternativa possibile.
E chi sarebbero, dunque, quelli della casta?
La risposta istintiva, di pancia, è semplice: quell’abnorme numero di parlamentari che letteralmente occupano la Camera dei deputati e dei senatori, un numero tanto grande quanto infinitamente superiore a quello di qualsiasi altro paese, a cominciare dai nostri vicini europei per finire agli Stati Uniti.
Sono loro che sono riusciti ad accumulare stipendi doppi o tripli rispetto a francesi e tedeschi; che hanno talmente da fare da essere riusciti a collezionare in un anno ben 37 ore di voli – di Stato ovviamente! – al giorno (forse, da soli avrebbero risollevato i bilanci disastrosi di Alitalia!); sono loro che hanno il coraggio di consumare i loro pasti ad una mensa – se così può essere chiamata – dove i prezzi sono inferiori a quelli destinati a qualsiasi altra categoria, come se i “salari” fossero anche solo lontanamente paragonabili; sono sempre loro che, come dicevamo, hanno uno stipendio tanto alto quanto letteralmente inestimabile, visto che le voci retributive sono più di una ed impediscono di sapere con assoluta certezza quanto va nelle tasche dei nostri beneamati parlamentari.
Basti pensare che, oltre all’indennità, abbondantemente sopra i 5000 euro mensili (al netto delle tasse!), dispongono di una diaria superiore ai 4000 euro (a cui, è vero, si sottraggono i giorni di assenza dall’aula di riferimento, ma considerando soltanto i giorni in cui sono previste votazioni qualificate) e di un rimborso per le spese di viaggio che supera i 1000 euro per i parlamentari residenti fuori Roma.
A questa serie già ampia di privilegi economici si aggiunga la possibilità di viaggiare gratuitamente su treni e aerei, il rimborso per le spese telefoniche (!!!) superiore ai 300 euro, il rimborso delle spese affrontate per compiere il proprio mandato (!) e una quota che viene loro assegnata per la retribuzione dei collaboratori. Tra l’altro, l’esistenza di questi collaboratori non necessita particolari documentazioni, tant’è vero che la maggior parte di essi fa da portaborse agli “onorevoli” in nero, con salari da precari.
E poi però vanno in aula a lamentarsi che l’economia non va perché al sud c’è il lavoro sommerso. Certo, verissimo, ma almeno abbiano la decenza di non predicare da quel pulpito, che razzolino meglio prima di predicare bene!
Si, è vero, la Casta sono loro. Ma questa non sarà la risposta più semplice, più comoda? Alla fine ci fa sempre comodo chiamarci fuori da ogni responsabilità. In effetti è proprio questo il problema: è un problema di responsabilità. Perché, fuori da ogni populismo, la questione si fa più complessa.
E per dimostrarlo possiamo guardare la questione da due lati differenti: continuando nella serie di denunce degli infiniti sprechi o parlando ai cuori. Nel primo caso dovremmo parlare di tutte le false comunità montane messe lì per dare posti di lavoro, delle 218 sedi della Regione Sicilia, di tutta quella gente che se ne va insieme al politico di turno nelle consuete “gite” finanziate dallo Stato o dalle regioni e giustificate da motivi di rappresentanza (ci sono casi di gruppi di 160 persone, tra gruppi folkloristici e figure varie, che si spostano insieme al loro politico di riferimento).
Potremmo parlare insomma di tantissimi episodi per dimostrare che se i politici sprecano i soldi, a qualcuno dovranno pur darli per mantenere salde le loro clientele. Potremmo dire che, è vero, deputati e senatori, sono la Casta ma che sotto di loro c’è tutta una categoria di gente che altro non fa se non aspirare ad essere a sua volta Casta, accontentandosi magari di gestire le sue clientele a livello locale, ma non in maniera meno vergognosa, anzi. Qui si tratta quindi di qualcosa che va oltre.
Non si tratta solo di soldi ma di equità, di giustizia sociale, che non è data dal semplice fattore economico. Assolutamente ci guardiamo bene dal negare la natura di casta dei nostri politicanti: che a governare l’Italia sia un branco di parassiti della società, avvinghiati alle poltrone quanto ai nostri risparmi per ottenerne benefici di ogni tipo, questo è innegabile, ineccepibile.
Ma non fa che tornarci in mente una frase di Plotino, che ricorda: “è giusto che i vili siano governati dai malvagi”. Ora, considerando anche che Plotino si riferiva non a regimi democratici ma a forme di governo in cui il voto non era concepito, qui la responsabilità si fa doppia (almeno!). Perché la cosa più grave è che questi qui a governarci ce li abbiamo mandati noi. Se in Italia da anni sono sempre le stesse persone a sedere sui seggi del parlamento, ad occupare gli uffici ministeriali, a garantire i voti a questo o quel candidato, la colpa è anche un po’ nostra.
Forse soprattutto nostra.
O siamo tutti Casta o ci sarà qualcuno che sta dall’altra parte e che se ne sta zitto, non si ribella. Vi chiederete: a che pro questa ramanzina? Beh, non è una critica distruttiva, tutt’altro. Mira semplicemente a costruire le basi di un reale mutamento, serve a ricordarci che la Casta siamo noi a farla sopravvivere, dunque si può e si deve combattere ma non avremmo risolto niente se non cambieremo il nostro modo di fare perché allora il problema si ripresenterà, come dopo lo scandalo (guidato?) di Tangentopoli: inizialmente tutto sembrava diverso; la seconda repubblica, dicevano, era nata.
Solo che dopo un po’ si rividero di nuovo le stesse facce, alcune dietro le quinte, alcune riscattate agli occhi del pubblico; pochi furono puniti per i peccati di tutti. Gli scandali da allora divennero cosa talmente consueta da divenire quasi gossip, il malcostume qualcosa di così comune da trasformarsi in comportamento collettivo.
Quello che si rischia è qualcosa di simile. Perciò, prima di criticare, facciamo autocritica. Anzi, più faremo una critica feroce verso noi stessi, più andremo a fondo nell’analizzare il problema. Lo stesso Confucio ci ricordava che il vero signore, come l’arcere, se sbaglia obiettivo, ne cerca le cause in se stesso, non le addossa ad altri. Quindi, torniamo alla questione fondamentale, che dicevamo essere quella della responsabilità.
La responsabilità di chi tace, di chi col proprio silenzio lascia fare, di chi si piega. Ed il popolo italiano troppe volte si è piegato. Spesso per bisogno, molto spesso anche per meno. C’è in Italia un tale disprezzo per i valori, una tale indifferenza, anzi, che la gente oramai si è disabituata a lottare.
Tutti noi non siamo abituati a soffrire, chi lo ha fatto in passato cerca di dimenticare a qualunque costo, spesso a discapito della dignità. Certo, piegarci spesso rende, ma arriva un punto in cui la dignità ne risente. C’è un momento, ed è quello in cui sei solo con te stesso, in cui sai dentro di te che non stai rendendo onore alla tua anima. È una questione di priorità; è una questione di formazione, di cultura. In Italia col tempo ha finito per prevalere la cultura della rassegnazione. Le comodità ci hanno sedotto. Ed è difficile rinunciare a qualche piccolo o grande sogno, se questo ci costa “solo” una x su una scheda, proprio lì dove non vorremmo metterla.
“Che vuoi che sia! Mi farà stare meglio!”. È la tipica mentalità individualista della modernità. Noi non ce ne rendiamo conto forse, ma ogni volta che accettiamo una scorciatoia in cambio della nostra dignità, distruggiamo in un solo attimo la nostra anima, la nostra forza di volontà, che a poco a poco cederà, e il senso di solidarietà comunitaria, che è l’unico fattore che realmente ci permette di realizzarci sul piano sociale, in poche parole, di FARE IL NOSTRO DOVERE nel mondo! Pensare solo al bene proprio è un atto di individualismo, di egoismo perché, più o meno indirettamente, va contro la comunità ed è esattamente il virus che il demo-liberalismo cerca di diffondere.
L’unica soluzione è resistere, dare forza alle nostre difese immunitarie, fare in modo che il virus dell’individualismo non ci infetti. Solo allora avremo fatto il nostro dovere; solo quando in nome della nostra comunità, di un valore, di un’idea, di un’identità avremo rinunciato ad una scorciatoia, che magari avrebbe portato con sé qualcosa di buono per noi, ma con essa anche tanta solitudine.
E stiamo bene attenti: qui si tratta di una solitudine profonda, una solitudine dell’anima, di un’anima che non ha più niente da condividere con nessuno, di un’anima e di una persona persa nell’atomismo desolante di una società senza volti. Certo, c’è da rinunciare a qualcosa, ma è garantito che ogni rinuncia in nome di un’idea porta con sé il seme della felicità, quel seme che mai nessun mezzo materiale potrà regalarvi.
E a dimostrarlo ci sono tutti i grandi eventi del passato, millenni storia e di grandi gesta: niente si conquista senza sacrificio! Chi non è disposto a sacrificarsi sarà schiavo, degli altri o di se stesso. Se avessimo nel passato più recente avuto questa cultura del sacrificio, se questa cultura ci fosse stata trasmessa, la casta non esisterebbe oggi. Il fatto è che c’è tutta una contro-cultura distruttiva che ha mirato proprio a questo, a infondere nelle generazioni a venire il senso di un diritto ad avere tutto, senza lottare.
Un ideale di vigliacco pacifismo che ci fa piegare il capo, non in nome di alti valori di amore che vanno oltre la paura (come Cristo, che seppe lottare e vincere senza alzare un dito contro nessuno, ma senza neanche temere nessuno), ma in nome di una vile arrendevolezza, di una resa incondizionata di fronte al valore della lotta in nome di un effeminato e nocivo pacifismo fine a se stesso.
La casta è dunque anche un prodotto nostro, di questo virus da cui ci siamo lasciati infettare.
Ma, ancora una volta, la questione si complica e si fa doppiamente difficile: c’è da considerare anche che tutto ciò è un male strutturale della democrazia, inevitabile finché questa “infezione dello spirito” continua la sua opera.
Per definizione, non può essere il popolo ad educare chi lo governa, non può essere il figlio che controlla il padre. Certo che no. Il fatto è che bisogna entrare nell’ottica che quelli che ci governano non hanno nessuna legittimità ad occupare quei posti: sono abusivi, la loro inconsistenza umana ne rende illegittima la loro pretesa di educarci.
Ma, come abbiamo detto, non può essere neanche il popolo stesso ad educare la casta, tanto meno ad educare se stesso. La soluzione dunque qual è? Esiste un diritto a contestare da parte di chi non ha l’autorità per essere educatore?
La domanda è forse la più difficile posta finora; stranamente però la soluzione è più semplice del previsto: il diritto a contestare esiste proprio in virtù della loro illegittimità. L’ordine naturale delle cose è ormai invertito e di conseguenza quell’autorità che nasce dall’esempio, e che tradizionalmente è il solo modo per essere riconosciuti degni del potere di governare, non è più in possesso di un gruppo ben definito e collocato socialmente in base alle proprie qualità.
Siamo in una situazione in cui il riconoscimento deve ri-avvenire, in cui è il caos. L’esempio dei pochi è il solo modo per riappropriarsi delle posizioni che spettano ai meritevoli, per fare ordine e fare in modo che questo ordine si rispecchi nella società. È questo il momento in cui l’élite ha il compito di farsi riconoscere tale e solo attraverso l’esempio può farlo e può acquisire il diritto di porsi come alternativa, reale e spirituale.
Insomma, è tramite l’esempio che l’uomo nuovo si manifesta e dal “basso” ha il compito di sostituirsi, in quanto esempio di correttezza, alla casta, permeando con le sue nuove idee tutto il popolo. È un “atto di forza”, di forza di volontà, necessario ad acquisire legittimità: solo dall’esempio degli uomini nuovi può nascere una nuova giustizia e uno stato di cose rinnovato nella sostanza. Ancora una volta è l’uomo che sfugge all’analisi dei soliti esperti sociologi, politologi e giornalisti; ed è l’uomo che invece noi dobbiamo riportare al centro della storia.