
L’IRA
di Lucio Anneo Seneca
“Alcuni, in preda all’ira, si sanno dominare e contenere”. Quando? Quando l’ira ormai svanisce e se ne va spontaneamente, e non quando è al massimo del bollore; allora infatti è più potente.
“E allora? Non è forse vero che talora, anche in preda all’ira, lasciano andare incolumi e indenni quelli che odiano e si astengono dal nuocere?”. È vero, ma quando? Quando una passione ne respinge un’altra, e la paura o il desiderio hanno ottenuto qualcosa. In quel caso l’ira si placa non per i benefici effetti della ragione, ma grazie a una pace delle passioni, pace male intenzionata su cui non si può fare affidamento.
Perciò la ragione non farà mai ricorso all’aiuto di istinti violenti e ciechi, sui quali non abbia essa stessa alcuna autorità, che non possa mai soffocare se non contrapponendo a essi istinti uguali e simili, come la paura all’ira, l’ira all’ozio, la cupidigia al timore.
Nessuno è più coraggioso dei Germani, nessuno più accanito negli assalti, più amante delle armi fra le quali nascono e crescono, delle quali soltanto si prendono cura trascurando tutto il resto. Hanno fatto il callo ad ogni sofferenza, poiché per la maggior parte non possiedono indumenti o rifugi atti a proteggerli da un clima sempre rigido.
E tuttavia gli Ispani, i Galli e gli abitanti d’Asia e di Siria, poco avvezzi alla guerra, li massacrano prima ancora che entrino in campo le Legioni, poiché scoprono il fianco ai colpi per nessun’altra ragione se non l’iracondia.
Dicono: “Ma come, l’uomo buono non si adira vedendo l’uccisione del padre e il rapimento della madre?”. Non si arrabbierà, ma li vendicherà e li difenderà. Perché temerà che l’affetto filiale, senza l’ira, sia per lui uno stimolo poco efficace? Altrimenti è lecito dire nello stesso modo: “Ma come, vedendo il padre e il figlio che subiscono un’operazione chirurgica, l’uomo buono non piangerà e non si sentirà venir meno?”. Questo è il comportamento delle donne, tutte le volte che un lieve sospetto di pericolo le coglie.
Arrabbiarsi per i propri congiunti non è segno d’animo affettuoso, ma debole: è azione bella e degna scendere in campo in difesa dei genitori, dei figli, degli amici, dei cittadini, sotto l’impulso del dovere stesso, con volontà, giudizio e preveggenza, senza passione e rabbia.
Dicono: “L’ira è utile perché rende più combattivi”. In codesta maniera anche l’ubriachezza, che rende protervi e audaci; molti da ubriachi sono stati migliori nella pratica delle armi; in codesta maniera bisogna riconoscere che anche la frenesia e la follia sono necessarie alla forza, perché spesso la follia rende più forti.
E con questo? Non è forse vero che qualche volta la paura rende per contrasto uno coraggioso, e la paura della morte suole spingere al cimento anche i più fiacchi? Ma ira, ubriachezza, paura e altri difetti di tal fatta sono stimoli vergognosi e passeggeri e non irrobustiscono la virtù, che non ha affatto bisogno dei vizi, ma sollevano un tantino l’animo diversamente pigro e fiacco.
Nessuno diventa più forte adirandosi, tranne colui che senz’ira non sarebbe stato forte; essa pertanto non viene ad aiutare la virtù, ma a prenderne il posto. E che dire del fatto che, se l’ira fosse un bene, tutte le persone migliori vi sarebbero esposte? Eppure i più iracondi sono i bimbi, i vecchi e i malati, e ogni essere debole è per natura portato a lagnarsi.
Quanto è più umano comportarsi verso i peccatori con animo indulgente e paterno, e non perseguitarli ma richiamarli indietro! Se uno erra per i campi perché non conosce la strada, è meglio riportarlo sulla strada giusta che cacciarlo.