Coscienza e Dovere | Un ricordo riaffiora dal buio

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(Riportiamo in questo articolo il luminoso esempio di Innocenzo, soldato dell’Armir, e di sua moglie Rachele)

Questa è la storia di un giovane militare partito volontario per la campagna di Russia, intrapresa dall’Italia durante la Seconda guerra mondiale.  Come in ogni guerra, il sacrificio è stato grande: migliaia di uomini caddero sul fronte, lasciando vedove e orfani e soli molti genitori; ma, di conseguenza, grande fu l’onore con cui questo sacrificio asperse il popolo di una nazione che seppe battersi in Russia con un esercito male equipaggiato, forte solo di uno spirito guerriero che in pochi altri casi fu eguagliato nella storia.
Basti pensare a quella famosa “ultima carica” del nostro esercito: a cavallo contro le bocche di fuoco delle mitragliatrici russe, lì dove solo cavalli e coraggio erano rimasti; così come potremmo ripercorrere le gesta degli alpini e dei bersaglieri che combatterono contro la vita nella Steppa, prima, e contro i soldati dell’Unione Sovietica, dopo, senza risparmiarsi mai, anche con i fucili inceppati dal gelo.
Le vite di questi uomini al fronte erano fedeli ad un ideale, ad un modo di concepire la vita,  superiore, eterno e immortale, al punto tale che non indietreggiarono mai per riportare a casa il loro mortale involucro di pelle. 
Come in un nostro precedente contributo vi abbiamo raccontato della vita di Ugo Gigli, così oggi vogliamo parlarvi di un giovane volontario che partì per combattere il nemico, senza più tornare a casa, nemmeno da defunto. 
Questa è la storia di Innocenzo Ranieri, nato a Paglieta, un  piccolo paesino rurale della provincia di Chieti. Come molti al tempo, si dedicò da subito al lavoro dopo aver completato gli studi fino alle scuole medie. A diciassette anni conobbe Rachele, sua coetanea, che diventerà poi sua moglie. Il matrimonio tra Innocenzo e Rachele fu celebrato nell’Aprile del 1943, previo accordo tra le famiglie dei due giovani, com’era usanza all’epoca.
Noi abbiamo avuto il grande onore e privilegio di poter conoscere molto bene la Signora Rachele durante i suoi ultimi anni di vita: subito lei e i suoi cari ci hanno disponibilmente accolti in casa, per trasmetterci la testimonianza  del marito Innocenzo. Purtroppo, Rachele ci ha lasciati tre anni fa, alla veneranda età di 93 anni e così, solo oggi, alla luce della consapevolezza dovutamente maturata, abbiamo deciso di onorare la nostra promessa fatta a Rachele: riportare alla luce la storia di Innocenzo, rendergli il dovuto ricordo in Patria, strappandola dall’oblio, affinché sia esempio per tanti altri giovani, come lo è stato per noi. 
Ma torniamo a noi.
Il matrimonio di Innocenzo e Rachele durò poco, non per la pochezza tipica dei tempi contemporanei, ma, anzi, proprio in virtù di un amore ancor più grande: Innocenzo decise di arruolarsi volontario e, solo una settimana dalla celebrazione, venne chiamato a servire l’Italia in Russia, come bersagliere. Da quei pochi giorni insieme come marito e moglie, nove mesi dopo nacque Giuseppina, che mai poté conoscere suo padre, così come Innocenzo mai poté sapere di esserlo.
Innocenzo era ormai lontano e purtroppo nemmeno Rachele ha mai saputo dove egli sia stato l’ultima volta, poiché non le fu mai fornita nessuna vera documentazione se non qualche pezzo di giornale che riportava sulla situazione in Russia. Un giorno le arrivò una foto, l’unica esistente di suo marito, che lo ritraeva impegnato al telefono durante il corso militare chissà dove; foto che fu poi completata anni dopo per la figlia Giuseppina, con l’aggiunta della parola «papà» sul retro. 
Purtroppo, quindi, nessuno può dire molto di più sui momenti al fronte di questo giovane figlio d’Abruzzo e dell’Italia. Le nozioni che sua moglie aveva erano tutte raccolte nella sua forte memoria e in un quadernino che ci ha gentilmente permesso di leggere e confrontare con i libri e le sue testimonianze orali, ma nulla di più vi è emerso. Sappiamo soltanto che un giorno un gruppo di soldati, tra cui Innocenzo Ranieri, fu mandato in esplorazione di una delle tante gole che si trovano sul territorio russo, lì i sovietici tesero l’agguato e non lasciarono scampo a nessun soldato italiano. Mai furono ritrovati i corpi e nemmeno le piastrine.
Alla famiglia Ranieri, sembra che la comunicazione arrivò solo nel gennaio del 1944 e fu l’ultima cosa che seppero. Da allora più nulla. Oltre dieci anni fa, nel paese di questo eterno giovane soldato, venne eretto un monumento ai caduti di tutte le guerre e il suo nome è insieme a quello degli altri compaesani, caduti per l’Italia nei vari conflitti. Quello di Innocenzo Ranieri è il caso di ancora molti soldati rimasti in Russia, senza essere identificati. 
Di conseguenza, Rachele divenne vedova e madre d’Italia come molte altre eroiche donne, all’età di diciotto anni. Ella non si risposò mai e non ebbe nessun’altra storia sentimentale: ciò teniamo a specificarlo nel rispetto della sua memoria; fu lei stessa a dedicare un intero pomeriggio a raccontarci come il suo amore e la sua fedeltà di moglie e di madre non vacillarono, nemmeno negli anni più duri, in cui lei, nonostante da sola abbia dovuto dar da mangiare a sua figlia, crescerla e farla studiare dignitosamente, mai pensò di trovare un altro uomo: «Il mio uomo è andato in guerra e non è più tornato. E che ci posso fare io? Niente! Per questo gli devo rimanere fedele. Nostra figlia non meritava un certo genere di disonore e nemmeno io glielo volevo dare»
Dalla voce viva e col nodo in gola col quale questa Donna ci raccontò la sua vita, capimmo subito di avere davanti un esempio al femminile come solo abbiamo potuto leggere nei libri. 
La testimonianza che vi riportiamo, quindi, è quella non solo dell’esistenza di questo bersagliere italiano, che prima d’ora tutti noi non conoscevamo, ma anche quella della virtù, costante fino all’ultimo respiro, di sua moglie Rachele, che rappresenta tutte le altre mogli d’Italia che come lei hanno combattuto questa guerra in maniera più silenziosa, ma altrettanto lacerante e forte, tutte unite nel medesimo  sacrificio. 
Quella di Innocenzo e Rachele è una testimonianza luminosa, resa ancor più grande dall’impersonalità di cui si sostanzia, perché perpetuata nel silenzio di chi ha dato tutto senza nulla chiedere in cambio, e che impone, a tutti coloro che vi si approssimano, di mettersi fortemente in discussione.