Vires VS Virus • pillole tradizionali contro il contagio della paura – 16

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«I maschi si fanno diventare ghiottoni con l’ausilio della loro vanità. Bisognerebbe ottenere che si credano grandi intenditori in fatto di cibo, che diano a intendere che hanno scoperto l’unico ristorante della città nel quale le braciole sono fatte veramente “come si deve”».
(Le Lettere di Berlicche, C.S. Lewis – ed. Mondadori)
Berlicche scrive a Malacoda che esistono due diversi tipi di peccati di gola: uno basata sull’eccesso, l’abbondanza e l’ingordigia e l’altro sulla delicatezza, la delizia e il “come si deve”.
In entrambi i casi è l’ego a guidare gli appetiti verso una certa indeterminata quantità di cibo oppure verso una qualche qualità desiderata. Che sia per la pancia (da riempire alla nausea) oppure per il palato (da deliziare con squisitezze), c’è lo zampino del demonio.
Nella donna il desiderio di alimenti preparati “come si deve” rimane spesso inappagato. La colpa principale di questa insoddisfazione è celata nel ricordo che esse hanno di sapori passati, quando i veri piaceri che i loro sensi ricercavano erano ben altri e perciò si accontentavano con più facilità delle offerte della tavola.
Nell’uomo, invece, subentra quell’aspetto dell’io legato alla vanità. Vanità di conoscere qualcosa che altri non sanno, di saperne più degli altri e di mangiare (e vivere) meglio di tutti. In questa situazione a tavola prima che i sapori di una pietanza, viene posto l’orgoglio per qualcosa che si sente proprio.
Quando c’è di mezzo la vanità anche l’assaggio di un piatto presuppone il coinvolgimento personale e diretto. Lucifero ed i suoi sodali sfruttano questa condizione  per far scaturire litigi, impazienza e preoccupazioni per il proprio io.
Al giorno d’oggi, di fronte alle continue tentazioni della gola, l’attitudine del militante deve essere quella dell’essenzialità e della parsimonia delle quantità e dei sapori.
Bisogna evitare di “ubriacarsi” di cibo in luculliane abbuffate in famiglia o in compagnia, così come l’attitudine a ergersi a giudice di show cooking sempre pronti a classificare un piatto non secondo il gusto ma per la propria vanità. Anche a tavola ciò che più conta è la sintesi del buono, del giusto e dell’utile.