Doveva essere uno dei punti di forza de La7, invece, l’approdo di “Servant of the people”, la serie-TV che ha consacrato Volodymyr Zelensky in Ucraina, si sta rivelando un flop.
Nelle prime puntate trasmesse in prime time, infatti, la serie ha registrato ascolti bassissimi (poco più del 3%) e non sono mancate le stroncature dei critici tivvù. Un livello recitativo opinabile, una trama che è un refrain ormai stantio (l’uomo qualunque chiamato improvvisamente al governo) e battute con riferimenti a eventi troppo specifici della storia ucraina (incomprensibili ai più) sono gli ingredienti del flop del canale televisivo di Urbano Cairo.
Ciliegina sulla torta il doppiaggio di Luca Bizzarri, che danno a Zelensky una improbabile vocina nasale, che stride molto con l’immagine collettiva di uomo forte che in mimetica sbatte i pugni in diretta streaming verso ministri e politici di mezzo mondo (che lo ascoltano in religioso silenzio).
L’intuizione di trasformare questo prodotto mediocre, e oggettivamente non esportabile in Italia, in un prodotto di punta solo per lo scoppio della guerra non è riuscito: ci dispiace, Urbano.
“Mancò la fortuna”, ma anche il “valore”, in questo caso, visto che l’operazione si è rivelata fondata solo ed esclusivamente su un appeal epidermico e volgarmente marchettaro.
Un richiamo a cui, però, molti pochi italiani si sono rivelati sensibili, il che dimostra come il mainstream sia un dogma imposto e calato dall’alto, più che la conseguenza delle reali convinzioni ed opinioni degli italiani.
(tratto da ilfattoquotidiano.it) – Servant of the people, aver acquistato la fiction con Zelensky si sta rivelando un flop per La7
Non so se è il caso di dirlo, perché il rischio di finire in una delle liste dei cattivi fatte da Riotta è sempre incombente, ma l’idea di acquistare, doppiare e proporre in prima serata la fiction Servant of the people si sta rivelando per La 7 un flop notevole.
Partiamo dall’andamento dell’audience, che, come si sa, non è tutto nella vita, ma qualcosa ci dice. Più di ottocentomila spettatori con il 3,4 per cento la sera dell’esordio, molto atteso; meno di settecentomila con il 3,1 il lunedì successivo. Eppure era un lunedì meno complicato. Nessuna partita di serie A, la fiction di Rai 1 che ha tenuto senza aumentare, Rai 2 e Italia 1 bassissime, Canale 5 con la sua Isola che cattura un pubblico non sovrapponibile, il solo Report, come sempre molto alto, vicino ai due milioni, a fare l’unica concorrenza nell’ambito del pubblico che predilige l’attualità. Insomma, il pubblico non sembra aver gradito molto il prodotto e francamente lo capisco.
Le ragioni della delusione riguardano due caratteri della fiction. Il primo è la fastidiosa sensazione di déja vu a che accompagna tutta la visione. Come è noto, la storia di un comune cittadino che per un caso o un equivoco assume all’improvviso fama o potere non è certo nuova. Ce ne sono vari esempi nel cinema classico americano, in quello europeo e di recente anche nella commedia italiana.
La vicenda dell’insegnante di storia Vasily Petrovych, del suo impensabile e imbarazzante arrivo alla più alta carica dello stato ucraino, delle reazioni dei suoi familiari, dei suoi amici e dei suoi avversari non si discosta da quelle viste in precedenza. Per cui tutto ciò che per il protagonista e i vari personaggi del racconto è motivo di sorpresa, per lo spettatore è invece avvolto nella più totale prevedibilità e, alla lunga, motivo di noia.
La seconda ragione di delusione è il registro della narrazione che non riesce a superare una pericolosa ambiguità. Da un lato la vicenda sembra ben radicata in Ucraina, nella sua società, nelle sue istituzioni, nelle sue dinamiche politiche e sociali. Ma i riferimenti sono troppo generici o forse talvolta incomprensibili per lo straniero, al punto che le battute, i motivi di comicità o di ironia sfuggono e tutto sembra un po’ vago.
Dall’altro lato il racconto potrebbe ambire a rappresentare una parabola universale sui vizi umani: la sopraffazione del prossimo, l’abuso del privilegio, l’insensibilità, la viltà, l’adulazione del potente. Ma questa strada resta bloccata dalla tendenza a costruire situazioni farsesche, da un clima di recita un po’ oratoriale, dalla presenza diffusa di macchiette e di atteggiamenti che, nel nostro paese, hanno un’eco decisamente fantozziana.
Insomma, alla fine una cosa che non è né carne né pesce. Sempre che si possa almeno in queste occasioni usare il né né senza incorrere nelle ire di qualcuno.