La storia del nostro Continente è costellata da innumerevoli di esempi di valore incarnati da altrettanti di eroi che si sono distinti in battaglia, indipendentemente da vittoria e sconfitta.
Riscoprirne le gesta è un dovere e l’obiettivo di questa rubrica a cadenza mensile.
Ormai è risaputo: i russi sono terribili orchi mangia-bambini che come orde mongole attaccano e devastano tutto quello che incontrano lungo il loro cammino (al contrario dei loro vicini ucraini che a quanto pare sono anche degli ottimi musicisti).
Quest’idea proviene molto probabilmente dal tipico sentimento occidentale di chi, quando vede un popolo imbracciare le armi per difendere un ideale superiore alla propria individualità, si spaventa.
Per esempio, cosa direbbe la ragazzina lgbt con i capelli fluorescenti di Evgenij Rodionov?
Evgenij era un ragazzo che a 19 anni si trovò di fronte ad una scelta tragica, morire libero o vivere schiavo.
Nato nel villaggio di Cibirlej nell’oblast di Penza il 23 maggio 1977, da piccolo sua nonna gli regalò una croce d’argento ma a causa delle restrizioni sovietiche nei confronti della religione ortodossa sua madre gliela fece nascondere. Dopo il crollo dell’URSS, Evgenij, neanche diciannovenne, decise di arruolarsi nelle forze armate russe che in quel momento stavano faticosamente combattendo in Cecenia contro un nemico tanto terribile quanto poco disposto a cedere.
I casi di imboscate da parte dei ribelli ceceni erano molti ed il 13 febbraio del 1996, mentre andava a montare la guardia insieme a 3 suoi camerati, si accorse di un’ambulanza che trasportava armi ai ribelli ceceni, solo che, aperto il cofano, si trovarono davanti una dozzina ribelli ceceni armati: i 4 commilitoni vennero fatti prigionieri e se ne persero le tracce, tanto che il governo russo arrivò a credere che Evgenij avesse disertato, e solo dopo alcune accurate indagini si scoprì che erano stati catturati.
Evgenij condivise con i suoi camerati 100 giorni di agonia e di sevizie e al 100 giorno, gli venne chiesto (tutto registrato) di togliersi la croce che portava al collo e di rigettare la fede ortodossa per abbracciare l’Islam. Lui, da martire rifiutò e da martire si fece sgozzare, e con lui tutti gli altri suoi camerati. I ribelli ceceni, non ancora soddisfatti, dopo aver nascosto il corpo, fecero pagare alla madre del ragazzo un somma di denaro altissima solo per indicargli il posto in cui il corpo del figlio era collocato.
Fin dalla sua morte, in Russia l’opinione pubblica è spaccata tra chi vuole la sua canonizzazione e chi ne è contrario. Ciò che importa però è che il suo martirio non venga dimenticato e che il giovane Evgenij venga preso come modello da tutte le generazioni future: questi sono gli esempi che noi opponiamo a questa società distorta e con cui, citando Ernst Von Salomon, “il vero combattente non può più avere niente in comune”.
Chi muore libero, vivrà per sempre.