tratto da Heliodromos.it
I matrimoni e i funerali hanno diversi punti di contatto fra di loro, segnando momenti particolari dell’esistenza umana, entrambi sono caratterizzati da apposite cerimonie e dal rispetto di determinate regole (nel vestire, nel comportarsi, nel parlare, nello scambiarsi simbolici gesti di partecipazione). Sono poi tutti e due contraddistinti da abbondanti versamenti di lacrime (seppur di segno opposto); a parte le spensierate e allegre ubriacature dei primi, e le tristi e dolorose meditazioni dei secondi. E, comunque, le nozze presuppongono inevitabilmente i funerali, potenzialmente li comprendono, li tengono in debito conto, per quanto questa loro stretta conseguenzialità venga accuratamente celata e tenuta nascosta, relegandola in un remoto futuro. È la stessa cosa che, del resto, si verifica con le comode ed agevoli strade in discesa, che si alternano con le faticose e ripide salite. Le “discese ardite e le risalite” che si giustificano a vicenda e che non possono esistere le une in mancanza delle altre. Questa è la vita! E, generalmente, risultano più utili e fruttuosi — al fine della maturazione e della crescita personale — i momenti dolorosi e di sofferenza, i percorsi faticosi ed impervi, piuttosto che quelli facili e comodi, gioiosi e di inconsapevole godimento. Si apprendono più cose da un lutto che da un festeggiamento.
E a tal proposito, recentemente — se qualcuno non se ne fosse accorto! — c’è stato il funerale della Regina d’Inghilterra, oltre a quello di Michail Gorbaciov, ultimo capo e liquidatore dell’Unione Sovietica, a suon di glasnost e perestrojka; il quale visse, a suo tempo, una fantastica “luna di miele” con l’Occidente, godendo presso di noi di una buona stampa e della massima considerazione, essendo addirittura stato insignito (il 15 ottobre del 1990) del Premio Nobel per la pace: avendo definitivamente posto fine alla guerra fredda e al confronto bipolare con l’Occidente asservito al predominio statunitense.
Eppure, la mattina del 12 marzo 1985, sentendo alla radio per la prima volta il nome di Gorbaciov (eletto il giorno prima Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica), un noto veggente dichiarò di avere avuto un improvviso ed inspiegabile mancamento: quasi come se, a suo dire, una nube nera gonfia di immane dolore e inimmaginabile sofferenza si fosse addensata nella sua camera. Presagi apparentemente inspiegabili, proprio in ragione della positiva nomea attribuita a Gorbaciov, a dispetto della macchia di sangue impressa sulla sua fronte, che qualche sospetto poteva suscitare.
Ma, se andiamo a guardare gli effetti reali della sua azione politica, il malessere provato da quel veggente non risulterà del tutto immotivato. Infatti Gorbaciov, nello stesso momento in cui ha posto fine al settantennio di tirannide comunista, ha anche indirettamente creato le premesse per un evidente peggioramento delle condizioni politiche mondiali; non solo in Russia, dove le sue gesta non hanno mai avuto i medesimi riconoscimenti tributatigli in Occidente, ma anche nel resto del Mondo. La rottura degli equilibri politici e geostrategici mondiali garantiti dalla guerra fredda, infatti, ha fatto sì che lo strapotere statunitense non avesse più limiti ed ostacoli, rendendo possibili disastrosi soprusi come la prima guerra del Golfo, i bombardamenti sull’ex Jugoslavia e la guerra nei Balcani, gli auto attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e i pretestuosi attacchi all’Iraq e all’Afganistan, l’aggressione alla Libia e l’assassinio di Gheddafi, il medesimo tentativo fatto nei confronti della Siria di Assad; per non parlare della lunga sequela di “rivoluzioni colorate” accese in giro per il Mondo: tutte azioni funzionali e finalizzate all’affermazione definitiva dello strapotere del capitalismo parassitario anglo-americano e alla “fine della storia”.
La Russia postsovietica venne, di fatto, gettata in pasto agli usurai, che spolparono le carni martoriate del popolo russo, impadronendosi con estrema facilità delle enormi ricchezze frutto del sudore e del sangue versati dalle masse, schiavizzate per settant’anni in nome del socialismo. Ai vertici della società ascesero i rapaci oligarchi (i soliti nuovi ricchi che, nelle situazioni di crisi e sofferenza generale, vengono sempre beneficiati dalla speculazione), tutti uniti fra di loro da saldi legami di “sangue”, con gli immancabili contatti e prolungamenti verso i parassiti occidentali. Proprio nello stesso momento in cui la povertà e la fame mietevano vittime a non finire e costringevano frange della popolazione a ricorrere perfino al cannibalismo.
E non meno deleterie risultarono le devastazioni spirituali e psichiche causate e favorite dall’esposizione — accelerata e incontrollata — al lavorio delle sette neospiritualiste e delle logge massoniche, piombate dall’Occidente, coi potenti mezzi economici e mediatici a loro disposizione, per raccogliere a piene mani nel campo lasciato sguarnito dal materialismo marxista in ritirata. Mentre il consumismo selvaggio e incontrollato cominciò a rendere schiavi dell’omologazione globalista le giovani generazioni russe.
Ecco il vero motivo degli entusiastici riconoscimenti tributati in Occidente a Gorbaciov e alla sua opera. Una significativa rappresentazione dello stato in cui si trovò ridotta la Russia e dell’entusiastico apprezzamento di una tale condizione da parte degli Stati Uniti è, del resto, possibile trovarla nella immagine, reperibile in rete, in cui Clinton al fianco dell’alcolizzato Eltsin non riesce a controllare un attacco di risa, smodate scomposte e irrituali. Si tratta di una scena di cui chiunque abbia rispetto e attaccamento per la propria patria non può non vergognarsi. Figuriamoci il nobile ed orgoglioso popolo russo!
Nell’odierna civilizzazione informatica, la “cura” applicata allora alla Russia viene oramai etichettata col termine di “grande reset”, seppur applicato — a differenza di oggi, dove ad essere interessato è il Mondo intero — ad un solo Paese e ad una sola area geopolitica; ma all’epoca il confronto poteva essere fatto solo col fenomeno delle precedenti rivoluzioni, e coi cambi di paradigma da esse determinati. E non è sicuramente un caso se l’episodio simbolo di questi avvenimenti, il crollo del muro di Berlino nel 1989, sia avvenuto in occasione del bicentenario della Rivoluzione francese del 1789. Anche perché, presso coloro che “sanno” (essendosi impadroniti di residuali conoscenze sottili per farne un uso inferiore), l’esigenza di sostituire ai giorni sacri e agli eventi fausti tradizionali — che si vogliono cancellare definitivamente — le odierne parodie di ricorrenze laiche e la celebrazione di eventi nefasti, è sempre tenuta in grande considerazione e nulla, da questo punto di vista, viene mai lasciato al caso in quegli ambienti.
Quanto Platone diceva a proposito degli Atlantidi («essi possedevano fino all’eccesso ingiusta ricchezza e potenza ingiustamente conseguita», ed essendo «pieni di tracotanza e di superbia, commisero più di un misfatto, spezzarono i giuramenti ed erano spietati»), sembra la perfetta descrizione di coloro che comandano oggi il Mondo, veri protagonisti del ciclo della decadenza e unici promotori delle rivoluzioni di ieri, dello smembramento gorbacioviano dell’Unione Sovietica e del “grande reset” prossimo venturo.
Tuttavia, non va mai dimenticato che il processo discendente e dissolutivo dei cicli cosmici ha conosciuto anche il fenomeno della “reintegrazione eroica”, sorta di miracolosa inversione della corrente decadente per opera di Uomini di valore, mantenutisi fedeli alla Tradizione e dotati della virilità spirituale appropriata; i quali, anche se per periodi sempre più brevi e limitati, hanno saputo dar vita ad istituzioni politiche e a civiltà di segno diametralmente opposto al corso univoco della storia, in cui si è assistito ad una reazione culturale e ad una una risurrezione parziale della Luce. E, sebbene in piccolo e con le debite proporzioni, qualcosa di simile è avvenuto nei tempi a noi maggiormente prossimi: al crollo dell’Impero romano ha rimediato, in parte, l’ecumene medioevale; alla rivolta dei Comuni e alle pretese dei mercanti, la legittimità imperiale del Barbarossa; alla Riforma protestante, la Controriforma della Chiesa cattolico; alla Rivoluzione francese, la Restaurazione; al trionfo della sovversione tramite la Prima Guerra mondiale e al Bolscevismo, ha reagito il Fascismo. Tutti episodi correttamente inquadrati, del resto, da Evola nella sua “scelta delle tradizioni”.
Ebbene, un tale carattere eroico e rigenerativo ci sembra che lo si possa attribuire anche all’ascesa al potere — nella Russia post Gorbaciov, devastata dall’occidentalizzazione forzata — di Vladimir Putin; il quale è riuscito a restituire dignità, forza e consapevolezza del proprio ruolo ad una nazione dalle enormi potenzialità materiali, morali e spirituali. Egli è stato, di fatto, capace di invertire un processo dissolutivo che sembrava irrimediabile, ponendo un freno alle mire egemoniche della pirateria finanziaria anglo-americana, contrastandone sul campo le criminali azioni militari: come, per esempio, in Siria; rovinandone lo sporco gioco e sparigliandone le carte.
E questo giudizio sul presidente Putin trova conforto nel riconoscimento e nel sostegno tributatogli a suo tempo da un uomo libero e coraggioso come Alexander Solgenitsin, che in fatto di Russia, libertà e tirannia poteva dare lezione a chiunque. A cominciare dagli squallidi opinionisti mediatici e intellettuali, servi volontari della globalizzazione e dei moderni atlantidei, da cui traggono il loro sostentamento per diffondere menzogne, falsità e odio contro la Russia, tornata di nuovo padrona del proprio destino. Ma da costoro non ci si potrebbe aspettare altro; mentre invece risulta, apparentemente, inspiegabile la partecipazione a tale coro di qualche nostrano fascista rintronato (che evidentemente, come dicono in Veneto, «ha mangiato pane e volpe!»), il quale si ostina, con argomenti del tutto capziosi e subdoli a prendere le difese dei suoi camerati di merende, ucraini, tanto simili ai “nazisti dell’Illinois” ridicolizzati nel film The Blues Brothers. Perché proprio la “rogna” ucraina scagliata di recente contro la Russia di Putin sembra appositamente creata per cercare di ristabilire le stesse condizioni che tanto facevano sghignazzare, a suo tempo, il presidente Clinton.
Tornando dunque alla metafora iniziale dei matrimoni e dei funerali, si può tranquillamente affermare che è proprio nei momenti di lutto, tristezza e sofferenza che l’essere umano è in grado di risvegliare forze interiori latenti e inconsapevoli, in grado di imprimere alla sua esistenza una svolta decisiva, verso la giusta direzione, per la ricostruzione interiore e la restaurazione dei valori eterni dello Spirito, presso i propri cari e intorno a sé.