La delicatezza del fiore di ciliegio, la sua effimera e radiosa fioritura, esprime la virtù del non-attaccamento. Dopo aver annunciato primavera, il fiore di sakura si lascia trasportare dal vento. Il bushi paragonò la sua vita a quella effimera e bella dei fiori di ciliegio.
Disciplina e meditazione, alleggerendo il peso della sua humanitas, della componente terrestre del suo essere, lo hanno reso lieve e pronto al distacco. Gli insegnarono a considerare la morte alla stregua del vento di primavera in cui non v’è nulla di oscuro: viene dall’azzurro mistero del cielo a proclamare la vita, petali danzanti nel vuoto ne annunciano la presenza. Il vento distacca i fiori dai rami per cospargerne i prati e i cammini degli uomini, le acque dei torrenti, le tombe dimenticate, l’erba novella, i capelli delle fanciulle ridenti, le aule silenziose dei templi e le vesti severe dei monaci.
E come vento di primavera, il buchi apprese a considerare la sua vita e la sua morte: un viaggio da Mistero a Mistero, da Vita a Vita passando per la vita terrena. La sua educazione ebbe lo scopo di renderlo cosciente di questo andare, del suo breve passaggio per la terra e della missione di testimoniarvi il Sole.
Lo rese cosciente del suo essere uomo-fiore in una terra in cui moltissimi alberi s’abbrancano alla terra con radici tenaci. Ma il vento d’inverno anch’essi abbatte e sarà tanto più doloroso lo schianto quanto più forte sarà stato l’attaccamento alla terra.
Per questo il bushi, nell’impermanenza della vita, come lo scrittore suicida, sceglie il sentiero dell’eternità.
Un kamikaze dell’ultima guerra, prima di morire, scrisse
Come fiori di sakura
a primavera
puri e radiosi
lasciateci cadere
Il bushi non è prodotto di un’epoca determinata, né di una moda. È il risultato di una lunga educazione impartita per molti secoli da molti maestri che lo trasformarono da predatore selvaggio a seguace di una Via e da essi apprese a difendere una Terra, un Signore, una visione del mondo. Confucio gli insegnò la benevolenza; lo Shintó l’amore per la natura e la contemplazione del suo mistero; Lao Tzu e il Buddha, attraverso lo Zen, gli insegnarono la dottrina del Vuoto(ku), dell’impermanenza(mojo) e del risveglio (satori).
Polia Mario, L’Etica del Bushido, Introduzione alla tradizione guerriera giapponese, Il Cerchio, Rimini, p.112