
Abbiamo recentemente assistito alla missione della Premier Giorgia Meloni in Algeria. L’obiettivo del viaggio? Consolidare i rapporti con Algeri e trasformare l’Italia nell’hub energetico del Mediterraneo.
Un traguardo ambizioso che, rinsaldando i vecchi legami tra i due Paesi, consentirebbe all’Italia una boccata d’ossigeno, presa com’è tra la stretta delle interruzioni e gli aumenti delle fonti energetiche russe, e l’approvvigionamento tramite quelle costosissime (e incerte) fornite dagli statunitensi.
Un viaggio che – svolto al seguito dell’Ad di ENI – ha avuto anche i suoi momenti solenni: tra cui la visita al giardino “Enrico Mattei”, realizzato per commemorare lo storico Amministratore del cane a sei zampe e fidato amico dell’allora nascente stato libero algerino.
Immediati, dunque, sono scattati i riferimenti al viaggio della Premier nel solco di Mattei, riverberando quel sogno di sovranità e indipendenza energetica che il coraggioso e tenace dirigente pubblico provò a costruire, pagando con la vita la sua ostinazione. Paragoni, tuttavia, che appaiono impropri ad un più ponderato paragone. Perché al netto di un romantico riferimento ideale, da un lato, e della rinnovata partnership con lo stato che fu amico di Mattei oltre 60 anni fa, c’è ben poca continuità tra i due e le relative politiche energetiche e diplomatiche.
Lungi dal voler frustrare ogni spinta che vada, oggi, nella direzione di una politica energetica che dia stabilità e pace all’Italia, tuttavia, alcuni chiarimenti si impongono…
Innanzitutto, Mattei fu un sovranista tout-court mettendo sempre e comunque l’interesse dell’Italia al di sopra dei “blocchi” dell’Est e dell’Ovest allora dominanti.
Riprova ne è che, pur nel solco dell’Alleanza atlantica, Mattei (fieramente anti-comunista) non si fece problemi a siglare accordi commerciali con l’Urss e con i Paesi cosiddetti – al tempo – “non allineati”. Oggi, invece, quella stessa fedeltà all’Alleanza ha esiti opposti: Roma, oltremodo fedele a Washington, ha ribadito l’agenda Draghi sull’Ucraina, ponendosi come parte co-belligerante anziché far prevalere ogni più evidente convenienza per l’Italia nel porsi come nazione dialogante tra le parti.
Non è stata la Meloni, bensì Draghi (a luglio scorso) a visitare l’Algeria per primo, onde rafforzare il partenariato strategico con Algeri e sostituire così il primato russo nelle forniture all’Italia: Mattei non ebbe predecessori nella definizione di una politica energetica e diplomatica del tutto inedita. Un’altra sostanziale differenza che in quel “primato” dice già molto circa una discontinuità tra le due politiche.
Altra differenza è il rapporto di forza cristallizzato con questi accordi: è Roma ad aver bisogno di Algeri e non viceversa. L’Algeria lo sa e non farà sconti, alla faccia dello spirito alla “Mattei” con cui viene presentata la missione, infatti, e dei toni da grandeur con cui l’Italia guarda al suo ruolo nel Mediterraneo, la mano sul rubinetto ce l’hanno solo oltremare: ben consapevoli che senza le forniture russe siamo davanti a un sostanziale baratro.
Mattei – il primo che seppe ragionare da pari a pari con i Paesi produttori – difficilmente avrebbe giocato su un solo tavolo, puntando tutto su una mano: Draghi prima, e la Meloni poi, perseverano nell’errore obbligati dalla manichea fedeltà agli Usa.
E, infine, una nota sui nemici: indicatore plastico della propria collocazione nel contesto in cui si opera e del lato del fronte che, di conseguenza, si occupa.
Da un lato, abbiamo uno che proprio per la sua capacità di fare sempre e comunque l’interesse nazionale, combatté ogni tipo di nemico (interno ed internazionale) fino al sacrificio della vita per il suo amor di patria.
Quello che per decenni è stata occultato come un disastro aereo era, in realtà, un attentato di mano ignota, benché la lista degli indiziati sia lunga e nota.
Non ci risulta, invece, la benché minima ostilità sui tavoli internazionali che contano per la Premier italiana che, anzi, gode di una “connection americana” e di una fiducia ribadita in tante occasioni.