La storia delle sorelle Radecchi, infoibate dai partigiani

1837
La breve storia ha inizio, per la cronaca giornalistica, il 06 novembre 1943, ma quella tragica, vera, dobbiamo andarla il cercare tra le righe della deposizione rilasciata dal maresciallo dei VV.FF. di Pola, Arnaldo Harzarich.
«Era il 04 novembre 1943 e con Terli si riprende l’attività di estrazione dalle foibe».
All’opera, oltre al maresciallo, i Vigili De Angelini, Bussani, Giacomini e Giuseppe Paron.
Sono presenti il Procuratore di Stato di Pola, due funzionari di quel Tribunale, un medico, il parroco di Schitazza, una località a due chilometri da Terli. La scorta è fornita dalla 60ª Legione Milizia Repubblicana di Pola agli ordini del Seniore Clinio Mignani. Harzarich annota:
«Attrezzatura solita ad eccezione della biga occasionale dei VV.FF. poiché la Direzione delle Miniere dell’ARSA ha ritirato il materiale ed il personale che aveva prestato per Vines».
Harzarich così continua:
«Alle ore 08.00 il Maresciallo Harzarich con i Vigili Bussani e Paron si calano nella foiba. Dopo una giornata di intenso e pericoloso lavoro vengono riportate alla superficie n° 26 salme tra le quali quelle di quattro donne.
Ecco i nomi dei riconoscimenti:
1 – Radecchi Albina, di anni ventuno, da Lavarigo (Pola). È in stato di avanzata gravidanza. Presenta varie ferite d’arma da fuoco sulla faccia,
2 – Radecchi Caterina, di anni diciannove, da Lavarigo (Pola). Sorella della precedente.
3 – Radecchi Fosca, di anni diciassette, sorella delle due precedenti.
La storia delle tre ragazze è la seguente.
Prima dell’8 settembre 1943 lavoravano in una fabbrica di Pola ed ogni sera nel ritornare a casa, dovevano passare per il Campo di Fortuna di Altura, si soffermavano a parlare con alcuni militari.
Dopo l’8 settembre 1943, quando i partigiani di Tito divennero i padroni incontrastati della zona, furono prelevate di notte dalla loro abitazione e portate prima a Barbana a far da sguattere. In tale periodo furono violentate.
Verso il 10/11/’43, per la pressione esercitata dalle truppe tedesche nella zona, esse furono gettate nella foiba di Terli.
Dalle foto si nota la Albina addirittura senza mutande e le due sorelle con le mutandine stracciate ai fianchi il che fa supporre che anche negli ultimi istanti le ragazze hanno dovuto subire impotenti la brutale violenza dei partigiani jugoslavi.
Il padre settantenne delle Radecchi è vivente in Lavarigo».
Questa, nella sua crudezza, la relazione Harzarich.
Il cronista del quotidiano di Pola Il Corriere Istriano, aggiunge:
«Con il quarto gruppo vengono estratti i corpi di due donne.
Benché ormai induriti dallo spettacolo atroce, i testimoni notando dai vestiti, dalle capigliature, dalle fattezze che le vesti scomposte lasciano intravedere che si tratta di donne hanno un brivido di raccapriccio.
Un uomo piccolino ed attempato che è vicino a noi, non appena scorge il primo cadavere esclama impallidendo: “Xe mia fia…”.
Ed è, infatti [prosegue il cronista] di Radecca Albina, nata il 23 marzo 1922, quel corpo seminudo e straziato da orrende ferite. Presenta una ferita mortale da arma da fuoco alla regione sotto clavicolare destra.
L’uomo ci spiega che, oltre a questa, i banditi gli hanno portato via, dalla casa, a Lavarigo, nella notte del 01 ottobre, altre due figliuole, incolpate dai ribelli di mantenere relazioni di cordialità con dei militari.
Poco dopo, le tre sorelle sono accomunate dal destino nel martirio, dormono, una accanto all’altra, al sole.
I visi non sono più riconoscibili, ma i corpi, ai quali la maestà della morte da un alone di castità, conservano ancora la grazia muliebre.
Caterina Radecca, diciannovenne, e Fosca Radecca, diciassettenne, non presentano alcuna ferita d’arma da fuoco: hanno il cranio fracassato, probabilmente nella caduta, le sottovesti strappate.
Il sadismo dei criminali ha voluto riservare loro la morte più spaventevole, facendole cadere vive nella voragine…».
A Rosa Petrovic fu riservato un trattamento speciale aggiuntivo, strappandole gli occhi dalle orbite.