La freccia di Arjuna – insegnamenti dalla Bhagavadgītā – 2

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Nuovo appuntamento della rubrica dedicata alla Bhagavadgītā e ai suoi insegnamenti.
Abbiamo spesso ribadito quanto sia importante questo testo di sapienza tradizionale, per poter conformare la propria azione ai principi della Tradizione.
E, mentre ricordiamo lo splendido e fondamentale testo “L’etica del guerriero” di Mario Polia, edito da Cinabro Edizioni, proponiamo questi estratti con i puntuali approfondimenti e gli opportuni chiarimenti di Alessandro Zanconato.

La Bhagavadgītā  (“Il Canto del Beato”) è considerata a ragione “il Vangelo dell’India”, e fa parte del grande poema epico Mahābhārata (IV sec. a.C.). Si tratta di un dialogo metafisico e morale tra Arjuna, nobile condottiero della stirpe dei Pandava, in lotta contro i malvagi cugini Kaurava sul campo di battaglia di Kurukṣetra (che rappresenta l‘eterna lotta tra il Bene e il Male) e il dio supremo Krishna, avatara di Vishnu e cocchiere di Arjuna. Nel corso del dialogo, il dio istruisce l’anima di Arjuna sull’indistruttibilità del suo vero , l’Atman, e sull’etica dell’azione disinteressata (karma-yoga), fondata sulla rinuncia ai frutti dell’azione, per conseguire la liberazione dalle passioni dell’ego. Gli insegnamenti immortali di Krishna costituiscono l’essenza della Tradizione Primordiale, di cui la Bhagavadgītā rappresenta un gioiello spirituale inestimabile, che risplende di luce propria nell’oscurità dell’attuale Kali-Yuga.
BHAGAVADGITA II, 11-20 – IL SÉ IMMORTALE
Shri Krishna disse: Tu piangi per chi non merita il pianto, e le tue sono forse parole sagge? Il saggio non si addolora né per i vivi né per i morti, poiché vita e morte sono transitorie.
Perché tutti noi ci siamo sempre stati: Io, tu, e questi re degli uomini. E tutti noi ci saremo sempre.
Così come il Sé del nostro corpo mortale passa attraverso l’infanzia, la giovinezza e la vecchiaia, allo stesso modo lo Spirito passa in un altro corpo: di questo il saggio non dubita.
Dal mondo dei sensi, Arjuna, vengono caldo, freddo, piacere e dolore. Essi vengono e vanno: sono temporanei. Sorgi sopra di essi, grande anima.
L’uomo che non è da essi turbato, o Arjuna, che va oltre il piacere e il dolore, è degno di vita eterna.
Né l’inesistente può essere, né l’esistente può non essere. Coloro che possono vedere la realtà, hanno visto questa realtà.
Intessuto nella Sua creazione, lo Spirito, è al di là della distruzione. Nessuno può porre termine allo Spirito, che è eterno.
Sebbene questi corpi siano destinati a perire, lo Spirito che vi dimora è immortale, incommensurabile, indistruttibile. Perciò combatti, o valoroso guerriero.
Lo Spirito non nasce e non muore mai. Esso esiste in eterno, per sempre. Mai nato ed eterno, oltre il passato e il futuro, Esso non muore quando il corpo muore.
Alle angosciose interrogazioni di Arjuna, che si era mostrato timoroso di peccare uccidendo i suoi cugini Kaurava, nemici in guerra, il dio Krishna, suo cocchiere, risponde con un discorso focalizzato sull’illusorietà della morte fisica. Il vero Sé dell’uomo è l’Atman, puro Spirito che non nasce né perisce. Nascita e morte, piacere e dolore sono illusioni legate a Maya, il velo d’ignoranza che ricopre l’autentico Essere. Quest’ultimo non può nascere (perché altrimenti deriverebbe dal Nulla, cosa impossibile per Krishna come per il filosofo greco Parmenide: l’essere non può mai non essere), né di conseguenza perire (in questo caso, diverrebbe il Nulla, suo opposto, il che è assurdo). 
Conseguentemente, secondo il dio, nessuno uccide né viene ucciso. Arjuna non deve compiangere i suoi nemici, destinati a morire, anche se sono suoi parenti. Lo Spirito individuale non fa altro che assumere corpi sempre nuovi, nel ciclo della trasmigrazione delle anime, finché, purificato da tutte le sue colpe, perverrà all’unione con l’Assoluto (Brahman).
L’insegnamento sempre attuale di questi versi è il seguente: l’Uomo della Tradizione non deve lasciarsi travolgere da emozioni irrazionali e passioni, ma guardare questo mondo effimero e materiale alla luce dei principi dell’autentica metafisica, che rivelano come l’Essere sia eterno e immutabile, al di là di tutte le sue incarnazioni sensibili. Occorre agire seguendo il nostro Dharma, la Legge eterna che ad ogni essere impone di realizzare la propria natura autentica. Siamo guerrieri, e come tali dobbiamo sempre comportarci, senza inutili recriminazioni né cedimenti ad una falsa compassione.