Sanremo, Drusilla e l’Iran

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Non sappiamo se i nostri lettori hanno guardato Sanremo, chi lo ha fatto o chi è più informato sul tema “Iran” già saprà che sul famoso palco dell’Ariston, all’interno del festival che ha tenuto banco per una settimana nel cosiddetto mainstream, si è esibita l’attivista Pegah Moshir Pour.
La ragazza, di origini persiane, ha lasciato Teheran all’età di 9 anni e in passato ha  dichiarato quanto felice e serena fosse stata la sua infanzia in Iran.
Non potendo dire molto nello specifico riguardo alle notizie che arrivano dal suo paese di origine, che come ben sappiamo sono filtrate e manipolate dai media occidentali, quando non sono proprio inventate di sana pianta, ha recitato un monologo strappalacrime sulla povertà dilagante provocata da un regime ingiusto e violento, “che uccide anche i bambini” come ha voluto precisare.
Non vogliamo entrare nel merito di questioni che al momento sono troppo calde e confuse per poter esporre in maniera chiara e definita, conosciamo l’Iran e gli iraniani abbastanza da poter essere del tutto scettici riguardo alle informazioni fornite dai giornalisti in collegamento da Istambul (sic!) e da attivisti provocatori filo-occidentali.
Però possiamo certamente commentare il fatto che Pegah ha evitato di dire in quale condizione si trovasse il suo popolo prima della Rivoluzione Islamica, con il governo dello scià Pahlavi che lo ha impoverito fino allo stremo per inseguire un sogno di occidentalizzazione e svendita dell’allora Persia.
Occidentalizzazione che andava, come accade sempre, a braccetto con gli USA, cioè il regime che costringe milioni di persone a vivere per strada perché a causa del capitalismo hanno perso tutto, che impedisce ai suoi cittadini di curarsi senza un’assicurazione sanitaria, che ricorre anch’esso alla pena di morte, e soprattutto che sostiene i governi di paesi in cui davvero la donna non ha diritti.
Tornando all’esibizione sul palco del festival di Sanremo, per coronare questo momento topico di indottrinamento di massa, è stato aggiunto completamente fuori contesto ma immancabile un bel tocco gender-fluid: il personaggio Drusilla (un uomo vestito da donna, ora popolare nelle trasmissioni di massa) prende il suo fianco e le sta vicino fino alla fine del monologo.
Non riusciamo a capire come i singoli possano cadere in questi banali tranelli del politicamente corretto, ma sappiamo che è tipico delle masse essere trascinate dove vuole il potere.
A noi del resto basta ricordare lo sguardo fiero delle donne iraniane quando ci dicevano che avrebbero preferito portare il velo per 10 vite piuttosto che vivere un giorno in quella che l’occidente chiama libertà.