Pubblichiamo questo contributo di un nostro lettore come spunto di meditazione in occasione della Quaresima.
La Quaresima, ossia il periodo ‘penitenziale’ di circa quaranta giorni che ci introduce al mistero pasquale, in cui rientrano la Pasqua, l’Ascensione e la Pentecoste, è uno dei cosiddetti ‘tempi forti’ della tradizione cristiana, anzi ne è il più forte e rappresenta un momento centrale nell’anno liturgico, pur essendo declinata differentemente nei riti occidentali o orientali.
Proprio per questo, è abbastanza avvilente vedere come nel mondo occidentale questo momento, fondamentale e fondante, ove non ignorato sia ‘normalizzato’, venendo ridotto al minimo sacrificio necessario, magari con qualche piccolo ‘fioretto’.
Da un certo punto di vista è meglio di nulla, ma è anche vero che, più in generale, perdere l’occasione di poter vivere tali momenti con la dovuta tensione è dannoso: il rischio è prendersi in giro, illudendosi che questo poco sia sufficiente, mentre in realtà un cammino di ascesi dovrebbe proprio fondarsi su un costante senso di insufficienza della propria condizione.
Chiaramente, questo non vuol dire che si debba fare ‘tutto e subito’, bensì che sia necessario vivere con la dovuta consapevolezza e porsi il problema delle prospettive. Infatti, i tempi che corrono e la nostra condizione umana, veramente bisognosa di una reale rivoluzione, ci impongono due accorgimenti: per prima cosa, non possiamo permetterci di perdere tempo e occasioni; come seconda cosa, viviamo in una condizione talmente pregiudicante, per sostanza umana e stili di vita squilibrati, che è necessario procedere con cautela, per non spezzarsi.
Pertanto, in generale, ognuno, con la dovuta onestà con se stesso, sappia dosare il proprio impegno, con la consapevolezza che ogni vera ascesi dura tutta la vita (e anche oltre!) e che, solo cominciando a fare il possibile, si potrà compiere ciò che oggi sembra impossibile.
Non sono producenti i fuochi fatui e le brusche sterzate, ma solo le meditate acquisizioni di responsabilità.
Per tornare alla Quaresima, proprio per sviluppare tale consapevolezza, sarà opportuno ripartire dai princìpi su cui tale chiamata si fonda, affinché questi, al di là dei singoli impegni, possano orientarne e renderne spiritualmente fecondo il cammino, affinché lo Spirito possa essere accolto nella nostra camera più intima: il cuore.
Su tale base, è necessario sottolineare che interpretare il digiuno quaresimale come semplice astinenza dal cibo è insufficiente.
Per comprendere meglio la Quaresima, è necessario avere sempre a fuoco la struttura ‘triadica’ dell’impegno: digiuno e astinenza, preghiera, carità.
Tale struttura è – ma d’altronde non potrebbe non esserlo, perché la Tradizione si esprime sempre con organicità e coerenza – del tutto coerente alla relazione tra Dio e l’uomo, affinché i due tornino ad essere Uno, fusi ma non confusi, perché l’uomo è immagine di Dio in quanto in Dio vi è l’immagine dell’uomo.
Il digiuno e l’astinenza, dai cibi e dagli impulsi del ventre, è innanzitutto disciplina e svuotamento dal desiderio di tutto ciò che è superfluo e ricercato dai sensi: alleggerirsi dalle zavorre con cui l’ego rimane attaccato alla propria terrestrità, per elevare più facilmente lo sguardo al Cielo.
Inoltre, il digiuno e l’astinenza permettono di qualificare e conservare le nostre migliori energie, contribuendo al riequilibrio psicofisico di cui l’uomo ha necessità ontologica e fisiologica, in coerenza con i propri ritmi. Infatti, rinunciare ai cibi ‘pesanti’ e sanguigni, in primis alla carne, ci preserva dagli elementi ‘sottili’ legati al sangue dell’animale macellato, che appesantiscono e ostacolano la concentrazione, nutrono gli istinti e le passioni; mentre conservare le proprie migliori energie, prima fra tutte quella sessuale, energia creativa e vitale per eccellenza, permette di alimentare e direzionare la propria creatività e qualificare la proprie forze. Sarà possibile vivere con maggiore leggerezza e lucidità, nella meditazione e nella preghiera, nei pensieri e nei ragionamenti, financo nei sogni; tali energie, così conservate e alimentate, sono suscettibili di gemmare sul piano spirituale.
Digiuno e astinenza, macerazione dell’ego, rendono l’anima terra fertile, pronta ad essere fecondata dallo Spirito, e permettono di fare esperienza del cuore come coppa, che svuotata dell’io si riempie di Dio, con la preghiera e la carità. Senza queste, infatti, digiuno e astinenza rischierebbero di essere vissuti come uno sforzo titanico, un mero esercizio di virtù fine a se stesso.
La preghiera è lode e invocazione dell’Altissimo, meditazione per centrarsi in Lui; è ‘invitarlo’ nei nostri cuori, dopo ‘avergli fatto spazio’: le nostre intenzioni, nobilitate, sono trasfigurate dal fuoco della Sua Presenza, che è Amore.
«Dio è Amore» (1Gv 4,8) insegna l’apostolo ed evangelista Giovanni: l’Amore non è, dunque, un attribuito di Dio, ma è Dio stesso. Aprirsi all’Amore è aprirsi a Dio, ma è altrettanto vero che il concetto di Amore è oggi problematico, è quello più confuso e strumentalizzato dal mondo moderno, che ne ha fatto un vaneggiamento sentimentale.
D’altronde, proprio perché Dio è Amore, come può il mondo pretendere di conoscere l’amore volendo al contempo escludere Dio?!
Il Vero Amore è sacrificio incondizionato, così inafferrabile razionalmente che la sua più alta espressione si è dovuta far carne, in maniera inequivocabilmente secca e diretta: il sacrificio della Croce, di Colui che dà la vita per la salvezza di tutti, anche dei propri nemici – passati, presenti e futuri.
Come possiamo conoscere questo Amore noi, che, costantemente agitati dalle nostre paure e dai nostri desideri, viviamo esclusivamente in funzione delle nostre sicurezze e del nostro tornaconto?
Incomprensibile mentalmente, l’Amore, possiamo solo aprirci al Suo Fuoco: con il digiuno, che lo prepara, con la preghiera, che lo innesca, per poi viverlo pienamente con la Carità, che lo alimenta.
Ma cos’è la Carità? È un concetto talmente rivoluzionario e incomprensibile, che è stato necessario ridurlo ad uno ‘svuotarsi le tasche’.
Infatti, Charitas è la parola latina che meglio traduce il greco Agàpe, che è l’Amore nella sua quintessenza: l’Amore quale strabordante pienezza di Essere, dono.
Ora, poiché Dio è Amore, il sacrificio fonda tutta la manifestazione e qualifica ogni relazione. Contrariamente a quanto insegna il mondo moderno, non esistono monadi; ogni essere, compreso l’uomo, vive di relazione e, se la solitudine di molti santi non è altro che una relazione massimamente profonda con il mondo tramite Dio, chi vive nel mondo non può rinunciare all’altro, tanto che è dall’incontro che nasce la vita: non solo nell’incontro con l’altro sesso, ma anche, su piani sottili, nel coraggio di aprirsi all’amico e al nemico.
Solamente Satana, negazione stessa dell’Amore, vive isolato, impantanato nell’odio della sua invidia.
La Carità è relazione reciproca in Dio: Amare Dio con tutto il cuore e realizzare la connaturata necessità di tornare a Lui e l’illusorietà di tutto ciò che, invece, può allontanarci da Lui, riconoscendo tale necessità anche in capo al prossimo. È una relazione in cui usiamo al prossimo la stessa indulgenza e la stessa fermezza che useremmo a noi stessi, con la stessa giustizia ma con la dovuta comprensione, in cui distruggiamo i limiti della nostra individualità riconoscendo all’altro il perdono che abbiamo ricevuto e che vorremmo ricevere dal Padre, facendoci Suoi figli, veramente simili a Lui: è una logica divina che contraddice ogni logica umana, brucia ogni amor proprio e lo trasfigura in Amore per Dio nell’altro e Amore per l’altro in Dio.
La Carità trasfigura la relazione per mezzo del Fuoco acceso con il digiuno e la preghiera e svela l’altro per ciò che è realmente: anch’egli un riflesso di Dio.
Questo Fuoco sintetizza l’io-tu, lo rende noi in Dio e fonda il Lui la comunità (che è con-unità), che diversamente rimane un mero aggregato socio-econimico, meccanizzata solo da rapporti di dare-avere.
Diversamente, il digiuno e la preghiera vissuti ripiegati su se stessi sono solo vanità, incapaci di accendere alcun Fuoco.
Se ciò ci sembra impossibile o irrazionale è per le tenebre dei nostri pregiudizi!
Noi, che non facciamo altro che puntare il dito contro chi non ci va a genio, in questo Fuoco acceso nel silenzio possiamo invece aprirci compiutamente a Dio aprendoci all’altro, superando i nostri giudizi e le nostre chiusure, metro delle nostre fragilità e delle nostre paure.
Pian piano, per mezzo della Carità, sapremo vivere pienamente tutti e tutto come manifestazione di Dio, oltre le nostre limitate categorie di bene e di male, di bello o di brutto, di piacere o di dolore: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?» (Mc 8,34-96). Impareremo a rinnegare noi stessi, nella piccolezza dei nostri attaccamenti, dei nostri pregiudizi e delle nostre insignificanti posizioni individuali, e a sopportare con gioia la Croce di Cristo – altare su cui sacrificare il nostro ego, il nostro ‘uomo vecchio’ – in ogni sofferenza e a vivere ogni difficoltà per compiere la Sua Volontà e tornare a Lui: sollevare il velo dell’illusoria separazione da Dio e dal prossimo in Dio, che è la vera natura del peccato del mondo.
«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,37-40)
Questa è la portata rivoluzionaria di ogni ascesi e dell’ascesi quaresimale: la cooperazione tra opere e Grazia, preghiera e carità, contemplazione e azione che si innesta sul terreno fertile del digiuno; ascesi la cui Bellezza – l’unica che salverà il mondo – è la pietra d’angolo per l’edificazione dell’uomo e della comunità.