
«Il valore del dono dipende da colui al quale viene offerto. E qui viene offerto al più vile, come l’alcool all’ubriacone. Così il dono diviene una malattia».
Exupéry mette in guardia il lettore rispetto alla falsa carità. Un dono è tale se porta valore a colui che lo riceve, non deve spingere quest’ultimo in basso, affogandolo nel mare dei suoi vizi.
Chi spartisce i propri averi per mettere in comune le proprie pene lo fa per sentimentalismo.
Il dono pieno di sé non considera tornaconti né cerca i propri interessi dividendo in modo più equo il godimento dei beni materiali.
Donare, invece, significa privarsi di qualcosa che si ha a cuore per consegnarla all’altro, senza riceverne nulla in cambio ma allo stesso tempo ritrovandosi entrambi più ricchi.
Il dono migliore da fare a chi è smarrito è il ricordo di se stesso, di quella luce divina che egli riflette anche se poco visibile.
La carità non eleva la mediocrità a modello ma riconosce nell’altro la presenza di Dio.
Solo in questa fraternità spirituale si può collaborare reciprocamente, ognuno per il compito che gli spetta.
Gli uomini valgono per quello che danno non per quello che viene loro concesso.