Tra le numerose decisioni negative che l’Europa a guida NATO ha attuato contro la Russia dal febbraio 2022, l’ultima, il mandato d’arresto internazionale per Putin, è sicuramente la peggiore mossa che potesse fare.
Emesso dalla Corte penale internazionale, tale mandato aggrava maggiormente il rapporto tra il mondo occidentale e quello eurasiatico, creando ostacoli per dei possibili accordi di pace.
Oltre al presidente, il mandato di arresto internazionale è stato esteso anche a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissario per i diritti dei bambini presso il Cremlino. Secondo il tribunale dell’Aja sarebbero responsabili diretti di crimini commessi sul territorio ucraino, crimini che mancano di prove reali.
Il mondo euro-atlantista aveva infatti bisogno di appesantire il carico contro il presidente Putin, poiché necessitano di coprire il vero volto della guerra, quello per cui l’Ucraina altro non è che una testa di ponte fondamentale per la NATO per poter puntare nelle costole della Russia le sue lame macchiate di sangue.
I mass media da anni sono un infimo strumento al servizio della geopolitica americana, e il loro lavoro si svolge creando un’immagine estremamente negativa di varie figure politiche che non si sono volute sottomettere al giogo statunitense.
Il paradosso del mandato è inoltre alquanto palese e vergognoso. Non si è mai sentito infatti del tribunale dell’Aja che emanasse un mandato di arresto per un presidente americano, dopo che questi, in linea con la politica espansionista del loro paese, hanno fatto terra bruciata su vari paesi del Medio Oriente.
Detto ciò, il mandato di arresto per il presidente Putin avrà sicuramente ripercussioni negative sul già critico rapporto tra Russia e USA, aumentando inoltre i legami tra Russia ei paesi non allineati al blocco atlantista.
(tratto da tg24.sky.it) – Mandato d’arresto internazionale per Putin, cosa significa e cosa succede adesso
La Cpi, tribunale con sede all’Aja, in Olanda, ha emesso un mandato di arresto contro il presidente russo e Maria Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini presso il Cremlino. La Russia non riconosce la Corte e non concede l’estradizione dei suoi cittadini, quindi Putin non verrà consegnato. Potrebbe però rischiare l’arresto se dovesse visitare uno dei 123 Paesi che aderiscono allo statuto di Roma. Inoltre verrà ulteriormente escluso dalla comunità internazionale.
La Corte Penale Internazionale (Cpi), tribunale che ha sede all’Aja, in Olanda, ha emesso un mandato di arresto contro il presidente russo Vladimir Putin perché sarebbe “responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia”. Che cosa significa per Putin? Vuol dire che verrà arrestato?
Secondo i giudici della II Camera preliminare che hanno emesso il mandato – tra loro anche l’italiano Rosario Aitala – “vi sono fondati motivi per ritenere che Putin abbia la responsabilità penale individuale per i suddetti crimini, per averli commessi direttamente, insieme ad altri e/o per interposta persona, e per il suo mancato controllo sui subordinati civili e militari che hanno commesso quegli atti”.
Oltre a Putin, un altro mandato di arresto è stato spiccato nei confronti di Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini presso il Cremlino. I reati sarebbero stati commessi nel territorio occupato ucraino almeno a partire dal 24 febbraio 2022. La Russia però ha smesso di riconoscere la Corte nel 2016 e non concede l’estradizione dei suoi cittadini, quindi è chiaro che né il presidente né la commissaria Lvova-Belova verranno consegnati al tribunale fino a quando durerà l’attuale regime russo.
Il mandato d’arresto è però significativo. Lancia un segnale ai funzionari e i militari russi sul rischio di poter essere incriminati e quindi non poter viaggiare all’estero. Putin potrebbe rischiare l’arresto se dovesse visitare uno dei 123 Paesi che aderiscono allo statuto di Roma, con il quale fu fondata la Corte nel 2002. Il suo arresto non sarebbe però certo: il Paese ospite potrebbe far valere il principio dell’immunità dei capi di Stato esteri, come accadde nel 2015 al presidente sudanese Bashir quando visitò il Sudafrica malgrado il mandato d’arresto.
Sembra difficile pensare che il leader russo lasci il suo Paese per recarsi in Paesi occidentali dove rischierebbe l’esecuzione del mandato di arresto. Rimanendo in Russia o andando al massimo in Paesi alleati come Cina e Bielorussia non rischia l’arresto.
Un portavoce di Human Rights Watch, una delle più importanti organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani, ha fatto notare però che il presidente russo sarà ancora più un escluso a livello mondiale: un ricercato per crimini di guerra, che non può andare dove vuole perché rischia l’arresto.
Nel medio e lungo termine, questa decisione avrà un forte impatto: se la guerra dovesse finire, il mandato di arresto sarà un ostacolo per gli accordi di pace. E nel futuro, un’eventuale ripresa dei rapporti con l’Occidente non potrebbe essere riallacciata da un uomo con un’accusa simile sul capo.
La Corte penale internazionale in passato ha già emesso simili mandati. Il leader della Serbia Slobodan Milosevic fu incriminato da un apposito Tribunale Internazionale per la guerra nell’ex-Jugoslavia, nel 1999. Nel 2001 Milosevic fu arrestato dalle autorità serbe e consegnato al Tribunale dell’Aja, dove morì, in carcere, nel 2006, prima che i giudici arrivassero a un verdetto. Dopo la sua scomparsa, i giudici lo ritennero colpevole di genocidio e di avere violato la Convenzione di Ginevra.
Nel 2011 la Corte accusò di crimini contro l’umanità l’ex leader libico Muammar Gheddafi (in foto). Tra gli altri leader finiti nel mirino dei giudici c’è l’ex presidente sudanese Omar al Bashir, accusato di essere il responsabile criminale individuale per il genocidio in Darfur. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja. Processato per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello. Nel 2016 la Cpi ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba.
Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga la Cpi c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya. La Corte non ha però giurisdizione in Birmania, che non riconosce il tribunale. La giunta è accusata di aver commesso abusi di massa, omicidi e torture nella campagna militare lanciata nel 2017 che ha costretto alla fuga 700.000 persone. Un’altra inchiesta aperta dalla Cpi è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro.