Perchè l’aborto è omicidio

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Riportiamo un articolo pervenuto in Redazione da un nostro lettore, sull’aborto.


Cinquanta milioni di aborti circa all’anno sono abbastanza per dare una definizione dell’Occidente moderno; non ci sono aggettivi però per esprimere quel disgusto che si viene a creare nella rilevazione degli elementi riferiti a questo argomento. Mai l’umanità era arrivata a questo grado di degenerazione e barbarie. L’aborto è il simbolo di una società che di fronte alla qualità del proprio benessere e di fronte all’ indifferenza generale nei confronti del divenire, uccide se stessa.
Esso rappresenta l’incarnazione di una inquietudine profonda radicata nell’uomo che, non appigliandosi più ad un ordine superiore delle cose, si trova intimorito di fronte a se stesso e di fronte a quella realtà che non riesce a controllare.
Sempre più donne abortiscono perché incapaci di essere madri di fronte a situazioni economiche e sociali che gli renderebbero la vita complicata. Come se le nostre madri, di fronte a sofferenza e insicurezza, avessero rinunciato al proprio naturale ruolo all’interno della comunità.
E non si prendano i casi di stupro o di gravidanza adolescenziale per giustificare un atto che è nel suo principio anti-umano: uno stupro è qualcosa che rimane nella psicologia di una donna in modo permanente e drammatico ma ciò non può e non deve implicare la soppressione di un individuo inconsapevole. (Platone diceva che ad ingiustizia non si può rispondere con ingiustizia) mentre una gravidanza adolescenziale implica la totale irresponsabilità delle persone coinvolte e per deficiente irresponsabilità non è lecito uccidere. Ma uccidere cosa?
Questa è la spaventosa domanda che i filo-abortisti invocano tacciando ogni possibile risposta contraria come qualcosa di dogmaticamente religioso ed assolutamente estraneo ad una concezione logico –scientifica degli eventi.
“La religione non è un motivo sufficiente per negare la possibilità ad una donna di abortire, né va della nostra libertà”: da ogni dove si sente riecheggiare lo stormo delle neofemministe arrapate che invocano “le libertà della donna”.
Addirittura nel rumoroso strepito progressista si risentono quei vecchi slogan che tanto fanno ridere: “l’utero è mio e me lo gestisco io” (che l’utero sia della donna non c’è alcun dubbio, ma l’utero non è l’embrione, e l’embrione non è sicuramente della donna).
Allora ecco che finalmente sopraggiungono quelle famose frasi retoriche decisamente assurde che vogliono definire l’embrione come un grumo di cellule e non sicuramente una vita. Con la retorica e la sofistica – ce lo hanno insegnato i vari Gorgia e Protagora – è facile dimostrare tutto, e con la dolce demagogia è facile scatenare nelle persone deboli la compassione e la commiserazione verso le donne che vorrebbero interrompere la gravidanza, i due primi ostacoli per una comprensione razionale di cosa sia realmente l’aborto.
Perché l’embrione è vita? L’embrione – questo è talmente logico quanto universalmente riconosciuto – è un individuo umano, un essere umano in potenza. Il feto è dunque nella sua Idea potenziale un essere umano. Poiché l’atto non è altro che il successivo movimento dell’idea potenziale, un uomo sarà logicamente il risultato della Potenza che è l’embrione. Il fatto che un’Idea possa essere in Atto o in Potenza definisce un particolare attributo dell’Idea ma non determina il suo ente che rimane uguale nei due movimenti.
Un Essere umano dunque è, indipendentemente dal fatto che esso sia in atto o in potenza e poiché abortire ( o più in generale uccidere) significa negare non la possibilità dell’Idea, quindi del feto, di diventare atto, ma negare l’essere stesso dell’Idea, non vi sono differenze alcune tra soppressione di un uomo adulto e soppressione del feto, in quanto entrambi sono fenomeni diversi di uno stesso Ente.
L’uomo come ogni cosa esistente in natura è soggetto al divenire, dunque egli si trasforma perennemente, così il feto è la prima tappa di questa trasformazione, così la nascita, così la vecchiaia, così la morte. Sono tutti intervalli di un processo perenne che ha come protagonista lo stesso Individuo.
Per questo l’aborto non per dogma religioso, non per valore etico, ma per pura logica (tanto cara ai sostenitori del progressismo scientista) non è altro che un omicidio.
Abortire è uccidere.
Da cinquant’anni dunque in Occidente si uccide indiscriminatamente e la moderna società che tanto piange le atrocità compiute nel corso dei secoli, dovrebbe interrogarsi sul più grande olocausto mai esistito compiuto ogni giorno negli ospedali e nelle cliniche. Eppure si preferisce chiudere gli occhi e vivere nel proprio innocente benessere.
La Vita nel nostro tempo è nuda merce che può essere venduta o comprata, creata o distrutta. Così che il relativismo ha spodestato il concetto supremo della Sacralità della Vita, che non è una semplice invenzione religiosa o un atto di fede, ma una naturale costatazione verso un mistero indefinibile ed indefinito che mai potrà essere esposto da calcoli aritmetici o stupidissime leggi biologiche, da scientismi folli, o tanto meno da gruppi politici dediti alla cultura della morte.