Finlandia, 2023 A.D.

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(di Federico di Röcken)

Anno Domini 2023.

Qualcosa in Scandinavia si muove.

È recente la notizia che la serratissima battaglia per le elezioni finlandesi 2023 si è conclusa con una vittoria schiacciante della destra.

Il Partito di Coalizione Nazionale (PCN) di centrodestra ha ottenuto una risicata maggioranza dei voti, posizionandosi al 20,8% delle preferenze, immediatamente seguito dall’ultradestra dei Veri Finlandesi – nome che è tutto un programma – al 20,1%; fanalino di coda seppur a breve distanza, nonostante tutto il clamore e la decantata popolarità, i Socialdemocratici di Sanna Marin fermi al 19,9%.

Alcune considerazioni.

I risultati riflettono largamente le previsioni degli analisti, segno che questa svolta, esattamente come è stato per l’Italia, era ben prevista ed attesa.

Afferma Sanna Marin, osannata leader dell’esecutivo uscente: “La democrazia ha parlato, il popolo finlandese ha votato e la celebrazione della democrazia è sempre una cosa bellissima.”

Imbarazzante ma concediamo: essere la celebrità del momento e perdere le elezioni deve essere urticante anzichenò.

Il problema ora sarà come deciderà di regolarsi il partito maggioritario, sì vincitore delle elezioni ma non in grado di formare da solo un governo. Opterà per un’alleanza coi Socialdemocratici, tutto sommato di centrosinistra seppur con forti deviazioni progressiste specialmente in materia LGBT e immigrazione?

Oppure, complice anche il fortissimo risultato dei Veri Finlandesi, guarderà a destra, dove batte sempre più forte il cuore della Finlandia profonda che pubblicamente abiura ma poi in cabina elettorale dice quel che realmente pensa?

Sono domande scottanti eppure anche irrilevanti per chi, come noi, si pone nel solco della Tradizione, che come sappiamo è metastorica e sovrasta le piccole beghe elettorali del condominio democratista globale.

Guardiamo i fatti.

Una larga fetta della popolazione finlandese se n’è bellamente infischiata di queste elezioni; nulla di nuovo, succede in qualsiasi paese democratico.

Una larga fetta si è incamminata bovinamente nella corrente massificata globalista, immigrazionista, genderista e chi più ne ha più ne metta. Atlantisti convinti, forse a chiacchiere più che a fatti, pandemisti severi, ecologisti della domenica alla moda gretina e velatamente autolesionisti.

Una larga fetta ha pensato di poter risolvere le sue preoccupazioni, che volenti o nolenti serpeggiano sotto pelle sempre più, rivolgendosi ad uno schieramento di classica destra conservatrice svecchiato per l’occasione. Gli specchietti e le allodole, si sa, non muoiono mai.

Una larga fetta ha detto basta: “ora voterò un partito dichiaratamente nazionalista, antimmigrazionista e antieuropeista; non voglio che succeda anche alla mia Finlandia ciò che è accaduto alla vicina Svezia, tristemente nota come “il laboratorio d’Europa”, dove la violenta popolazione allogena dilaga senza freni nella più totale inermia delle istituzioni”.

Bene.

Son chiare ai miei occhi due circostanze.

La prima.

Al netto di ogni considerazione politichetta e geofantacalcistica, uno zoccolo duro in Europa (e Nord America…), non rumoroso ma numericamente molto più significativo di quanto la narrazione mainstream vorrebbe dare a bere, si sta radicalizzando. Calma: si sta radicalizzando dal suo punto di partenza, fondamentalmente borghese e democristiano in senso allargato, quindi costitutivamente neutrale e panciafichista.

Sta svoltando, lentamente ma nemmeno così tanto, nella direzione ove sente che le sue problematiche più pressanti – anche quelle che non potrebbe mai ammettere pubblicamente – sono prese in seria considerazione e risiede una ferma volontà di risolverle. Ora vero o falso che questo sia, tale è la sensazione di questo elettore assolutamente medio e normale, sempre meno preoccupato della riforma economica o delle tasse ed invece sempre più della turba immane di immigrati che assediano le sue città. Li vede all’uscita della metropolitana, li nota agli angoli delle strade, li osserva ammucchiati attorno alle panchine nelle piazze. E non gli piace.

Forse quell’ultima pillola gender della preside che gli hanno riferito i suoi figli, forse una lettura su cosa sia l’utero in affitto, forse questa bislacca idea che le donne possano avere il pene e una struttura ossea da lottatore di MMA, forse una folgorazione sulla via di Damasco ma all’incontrario: costui si sta lentamente risvegliando.

Qualcuno – pensa – mi sta fregando.

E così l’asse delle preoccupazioni si sposta dagli aspetti più grossolani, ancorché utili, dell’economia, della fiscalità, del lavoro, ad altri più sottili ed atavici. Identità nazionale, protezione della propria cultura ed etnia (non oserebbe mai chiamarla razza ma sta pensando esattamente a quello), controllo dei confini, ius soli, gender, woke, cancel culture, Netflix e altre apocalissi.

Magari questo buon padre di famiglia, questa donna felice e realizzata, vive proprio in Finlandia e osserva con occhio torvo la triste situazione in cui versa la vicina Svezia.

La scellerata politica di invasione allogena autoinflitta ha visto il vertiginoso aumento sul territorio nazionale svedese delle no-go-zones (zone talmente pericolose ed infestate dalla criminalità immigrata che non è possibile per lo Stato far rispettare la legge coi mezzi ordinari, nè garantire assistenza medica) fino alla terrificante cifra di 61 secondo un report che risale al 2017. Sono cinque anni fa tanto per intenderci, e probabilmente la nostra famigliola finlandese non intende fare la stessa fine.

Ostaggi in casa propria, esposti come prede agli umori criminali della turba africana impunita, abbandonati alla mercé del barbaro invasore da governanti prezzolati al soldo della grande finanza internazionale. In molte città svedesi la popolazione autoctona, i veri svedesi, stanno diventando inesorabilmente minoranza: altra circostanza che terrorizza – chissà perché – questa brava famiglia di pacati borghesi finlandesi, timorati di Dio ma per nulla scemi.

La seconda considerazione.

Quello su esposto è un solco che è fisiologicamente destinato ad allargarsi fino a tramutarsi in voragine.

Non si dia retta ai saltimbanchi del catastrofismo, che pure piacciono nel nostro ambiente per il fatto di catalizzare quel millenarismo un po’ nerd che fa tanto tendenza evoliana, o i pifferai magici del pessimismo cosmico à la Cassandre: la situazione, più andrà peggio, più andrà meglio.

Ogni cosa ha un punto di rottura, e l’essere umano non fa eccezione.

La Storia non ha mancato di offrire impressionanti esempi di cosa può fare un popolo tradito e messo alle strette.

Io non dubito affatto che il nemico abbia un piano.

Dico solo che, forse, non ha fatto i suoi calcoli fino in fondo.

“Come si riacquista la libertà perduta? Con un’esplosione e una tempesta di forze morali provenienti dalle profondità del Volk.”

(Conrad Ferdinand Meyer, 1825 – 1898)

Voi date tempo, il Volk darà la risposta.