
«Poco m’importa che il cero sia grosso. Solo la fiamma mi dà la misura della sua qualità».
Il fine della candela è portare luce, per questo non importa quali siano le sue dimensioni ma il fatto che da essa possa accendersi una fiamma; allo stesso modo, lo scopo dell’uomo sulla terra è realizzare il piano divino a lui affidato, non contano le fattezze del corpo, il quale altro non è che il mezzo per raggiungere un fine che appartiene allo spirito.
La qualità di una vita non si misura con la durata del tempo speso sulla terra ma con quanto sia stato donato per mezzo di essa, superando l’individualità e il tempo stesso.
La vita è quindi un dono perché consente, con il sacrificio, di collegare il terreno al divino. Viceversa, se la vita non è concepita come dono, l’unica dimensione che può schiudere è quella degli inferi.
Come il vento minaccia la fiamma della candela, così l’irrequietezza può compromettere il giusto agire.
Quando cioè l’azione non è orientata verso uno scopo ed è priva di riferimenti, allora si trasforma in agitazione con limitate possibilità di realizzare il volere superiore.
L’uomo moderno è vittima dell’agitazione.
Egli si identifica in ciò che fa e, in questo modo, inizia a ritenersi tanto più libero quanto più è schiavo delle proprie azioni. Ancora peggio è il fatto che egli si convince di non essere niente più di quello.
Solo l’azione disindividualizzante e universale restituisce all’uomo la capacità di farsi strumento del piano divino, senza più badare ai frutti della propria azione e ai limiti imposti del tempo.