Zitti tutti, parla Cantona

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Intervista rilasciata al quotidiano “The Athletic” dalla leggenda del calcio Eric Cantona, un atleta che non ha mai avuto remore nel dire ciò che è giusto e vero, a dispetto delle facili opinioni del regime democratico e della propaganda occidentale.

Tratto da Rivistacontrasti.it 

Perché Éric è il Re, anche fuori dal campo.
 
Éric Cantona, che dopo le prodezze in campo si è fatto conoscere anche fuori per non tirare mai indietro la gamba, e per regalarci sempre opinioni originali e controcorrente, ha rilasciato una strepitosa intervista a The Athletic già diventata un nostro manifesto programmatico.
I temi toccati sono stati molti, dal Manchester United alla sua carriera, dalla Francia alla politica, ma il valore aggiunto Cantona lo ha dato parlando del nuovo sport-entertainment, di un mondo (quello del calcio, soprattutto) ormai vittima e schiavo della deriva finanziaria, spettacolarizzata, commerciale, fino al punto di rendere gli sportivi degli influencer che ripetono ritornelli a pappagallo – o come dice lui delle “pecore a buon mercato” – e il football in generale un mondo capace di tradire i suoi stessi tifosi.
 
«Non mi piace l’idea che calciatori, politici, cantanti, personaggi famosi debbano essere esempi».
Che ha poi spiegato:
«Recentemente ho sentito dire che i calciatori devono essere impegnati socialmente, essere attivi, come gli artisti. Ma gli artisti – il 90% di loro sono attivi in cose facili, senza alcun rischio. Dove è rischioso, non si schiera nessuno. La maggior parte delle persone lo accetta perché sono ‘esempi’. Ma sono esempi a buon mercato, esempi di pecore a buon mercato! Ci sono molti esempi di pecore a buon mercato, nel calcio, come dappertutto. È solo business. Dicono di essere contrari a questo o quello, ma è sempre la cosa più facile. Oggi è il clima, che è positivo, ma pensi di essere davvero impegnato e di prenderti dei rischi perché dici: ‘Dobbiamo stare attenti al clima’?».
Così ha attaccato Re Éric, che poi ha continuato:
«Ci sono persone in alcuni Paesi che sono davvero impegnate, che rischiano per le loro vite. Abbiamo fatto alcuni documentari sui ribelli del calcio ma quando dico ribelli, non intendo i ragazzi con tatuaggi e gel nei capelli. Questi sono falsi ribelli. Intendo coloro che mettono in pericolo la propria vita, che hanno combattuto per la democrazia, o come Carlos Caszely in Cile (un calciatore che si è opposto alla dittatura di Pinochet). Hanno preso sua madre, hanno torturato sua madre. Tutto invece ora è facile. Aspettano, aspettano e poi dicono: “Ora posso andare a dire qualcosa”. Ci sono molte cose per cui puoi combattere oggi.

Quindi, combatti per i Palestinesi. Lotta per lo Yemen. Lotta contro l’Arabia Saudita e i Paesi che vendono armi all’Arabia Saudita. Parlatene».

Musica per le nostre orecchie, una boccata d’aria in un mondo dominato dal più asfissiante conformismo. D’altronde qui in varie occasioni ci siamo schierati non contro gli sportivi politici, bensì contro questi sportivi (finti) politici.
Come scrivevamo in questo articolo, “Lo sport è politica, non propaganda”: è Thuram e Sollier, non Hamilton e Marchisio, portavoce social di tutte le battaglie giuste a prescindere e sponsorizzate dai grandi media, comprese le multinazionali. È Tommie Smith e John Carlos, atleti che pagarono le conseguenze delle proprie azioni e delle proprie convinzioni, non i nuovi sportivi portati in palmo di mano da tutto il coro mediatico liberal-progressista, i quali ripetono il copione scritto da altri tra diritti LGBT, ambientalismo da salotto, femminismo di facciata, “senza mai prendere rischi” e soprattutto senza mai aggiungere nulla.