Get Woke, Go Broke è modo di dire americano che tradotto significa: “diventa ‘politicamente corretto’, poi fallisci”. Un vero e proprio mantra dei conservatori e dei repubblicani americani esportato ora in tutto il mondo, che critica le scelte politiche e ideologiche di numerose multinazionali che si sono vendute al mondo LGBTQ+ nella speranza di aumentare i guadagni e accontentare internet ed il web.
Scelte che, molto spesso, si ritorcono contro le stesse aziende creando enormi buchi nel bilancio: la maggior parte della popolazione non è infatti allineata al mondo trans-pan-gay-lesbico-pedofilo-queer e chi più ne ha più ne metta. Ne è un esempio la Disney, che da diversi anni sta forzatamente compiendo nei propri lavori cinematografici vere e proprie operazioni di gaywashing o blackwashing, ovvero di inserimento forzato di attori, personaggi, temi e idee omosessuali o, per quanto riguarda il blackwashing, di sostituzione di personaggi dalla pelle chiara con attori africani.
Ultimo esempio di questo fenomeno di mercato – molto poco apprezzato dai consumatori, ma spinto dai dirigenti delle multinazionali – è la North Face, che ha lanciato il “summer pride”, l’orgoglio estivo. Ovviamente non l’orgoglio dell’azienda, degli sportivi qualunque sia il loro sesso, ma l’orgoglio omosessuale. Il tutto lanciando la campagna con un transessuale truccato come una studentessa liceale anni ’80.
Una scelta che ha scatenato la furiosa reazione di numerosi utenti sui social: i commenti non sono per niente favorevoli a questa politica di parte, e molti hanno già iniziato a liberarsi dei capi North Face o Patagonia. Vedremo ora, nel medio termine, come andranno le azioni dell’azienda.
Questa grave e decisa presa di posizione di North Face sorprende, visto che proprio qualche mese fa un’altra azienda americana la Bud Light, proprietà Anheuser-Busch, ha bruciato 5 miliardi di dollari dopo aver lanciato una linea pro-LGBTQ+ utilizzando come sponsor l’attivista transgender Dylan Mulvaney. Questa decisa presa di posizione ha mandato a picco le azioni e le vendite della birra, amatissima in America, dopo una forte campagna di boicottaggio nata sui social network.
31Su Twitter, Instagram e Facebook sono numerosissimi i messaggi contro queste derive politiche e ideologiche delle grandi multinazionali, ed è qui che è nato, nel mondo virtuale, che è nato il già citato “Get Woke, Go Broke”. La giusta reazione dei consumatori può avere un deciso impatto sulle vendite e sulle politiche delle aziende: così come la Budweiser, padrona della Bud Light, ha registrato un calo del 17%, per colpa della collaborazione con l’attivista trans, anche le altri grandi multinazionali che si schierano a favore dell’ideologia gender devono ponderare bene la loro scelta.
Non tutti sono asserviti al mondialismo e all’ideologia LGTBQ, non tutti sono influenzabili e manipolabili.