Le parole sono strumento di dominio e fonte di ingannevoli suggestioni. La manipolazione del linguaggio è una delle armi maggiormente usate e più efficaci della guerra occulta, risulta quindi fondamentale conoscerne la genesi e i meccanismi al fine di approntare un’adeguata difesa per il militante del Fronte della Tradizione.
tratto da Demofagia, di Renzo Giorgetti, Solfanelli, Chieti, 2017, pp.177-182
È fondamentale per il Potere avere il controllo del vocabolario, ovvero di tutti i termini usati nella comunicazione. La lotta nel campo intellettuale è stata e sarà sempre quella per la conquista delle parole e per l’assegnazione ad esse del significato voluto; impossessandosi di determinate parole e dando a esse il valore desiderato – sia esso un nuovo significato o una sua parziale modifica – si acquisisce la facoltà di formare un nuovo ambiente mentale, un nuovo microcosmo dotato di leggi proprie con il quale tutti necessariamente si dovranno confrontare. La parola evoca concetti, i concetti determinano i processi mentali e questi infine le azioni. Ottenendo il monopolio su un dato termine lo si potrà utilizzare come meglio si crede, caricandolo di nuovi valori, acquisendo prestigio per sé o squalificando gli avversari, favorendo o impedendo determinati comportamenti.
Si possono forgiare nuovi termini oppure utilizzare quelli già in uso, altre parole dovranno invece scomparire o svuotarsi di significato: in questo modo si sarà posto un dominio invisibile su quasi tutte le attitudini del vivere sociale. Ma non si tratta di semplice eloquenza, dato che un oratore può lavorare solo con gli strumenti che ha già a disposizione, qui si tratta invece di fabbricarsene di nuovi o di riconvertire quelli utilizzati in maniera diversa. Un’operazione complessa, che necessita di abilità, ingegno e soprattutto forza al fine di riuscire ad imporsi; oppure di un lento, instancabile lavorio, che in maniera impercettibile e continua riesca a erodere i vecchi significati o ribaltarli completamente.
L’esempio tipico è quello dell’Illuminismo, movimento che si adopererà a lungo e in varie forme per produrre quel cambio di paradigma che nei decenni successivi orienterà tutta la filosofia per poi estendersi ad ambiti più pratici. Tramite un’azione lenta e costante di influenza della vita culturale europea nuovi concetti sono entrati nell’immaginario e nel sentimento comune, modificandolo completamente e conformandolo secondo i nuovi standard.
Andrew Ramsey nel suo Discours (1736) di fronte all’assemblea generale della Massoneria Francese propone la compilazione di un grande “dictionnaire Universel” in cui raccogliere tutto il sapere delle arti e delle scienze umane. Qualche anno dopo verrà intrapreso il progetto della Encyclopédie. Fondamentale rimane sempre vincere la battaglia delle idee: mentre da un punto di vista associativo le “società di pensiero” agivano per creare consenso e stroncare le resistenze, dal lato più puramente culturale l’Encyclopédie stabiliva cosa dovesse essere considerato giusto e utile, distinguendolo da ciò che si riteneva inutile relitto da abbattere. Non c’è solo scienza, tecnica e filosofia in questa monumentale opera, ma una precisa volontà di corrodere e dissolvere il vecchio mondo, i suoi fondamenti e tutto quanto concorre ancora alla sua sopravvivenza.
La stessa operazione che Voltaire portò avanti con il Dictionnaire philosophique è condotta su più vasta scala da Diderot e D’Alembert con intenti più seri e decisamente più subdoli. È lo stesso Diderot che nella stessa Encyclopédie, alla voce Encyclopédie, espone il programma che guida l’operazione. Le varie voci che compongono l’enciclopedia – ci viene spiegato – non sono separate le une dalle altre, ma sono contraddistinte da rimandi che “richiamano le nozioni comuni e i principi analoghi; rafforzano la coerenza; intrecciano il ramo al tronco, producono un’unità favorevole alla persuasione e all’affermazione della verità”. Tali rimandi hanno però un secondo effetto “completamente contrario”, che serve a demolire quelle voci non in linea con le idee-guida illuministe ma che per convenienza si era comunque deciso di inserire. Quindi gli opportuni rimandi “opponendo le nozioni, facendo contrastare i principi, attaccheranno, sconvolgeranno, rovesceranno segretamente le opinioni ridicole che non si era osato insultare apertamente”. In questo modo:
“L’opera intera ne riceverà una forza interiore e un’utilità segreta, i cui effetti invisibili saranno con il tempo tangibili. Ogni volta che un pregiudizio nazionale sembrerà meritevole di rispetto, l’articolo particolare dovrà trattarlo rispettosamente, e con tutto il suo insieme di verosimiglianza e interesse. Ma l’edificio di fango sarà rovesciato, dissolto in nugolo di polvere, rimandando agli articoli in cui solidi principi serviranno come base alle verità opposte.” (1)
Tale attività mira in maniera totale, letteralmente enciclopedica, da un lato ad imporsi come pensiero dominante, e dall’altra a spazzare via tutti i pensieri e le concezioni antagoniste in grado di minacciare questo monopolio. La strada è quindi spianata per tutte le affermazioni future e per l’annichilimento dell’avversario, falciato moralmente fin dai presupposti.
Morte al fanatismo e alla superstizione, è questa la parola d’ordine che d’ora in avanti servirà per screditare e “segnare d’infamia” chi rifiuta i dettami del nuovo ordine culturale. La Rivoluzione ne è solo il coronamento pratico e su larga scala. Questo rovesciamento è ormai un fatto compiuto e viene compreso da molti contemporanei.
Edmund Burke già nel 1790, in Reflections on the Revolution in France, rileva come il mutamento dei tempi abbia portato anche a un mutamento del valore dato alle parole, e si chiede con sarcasmo se il termine “illuminati” vada o no inteso secondo il “nuovo dizionario” utilizzato nelle “nuove scuole”, evidente riferimento ai centri di potere ideologico-culturale che costituirono il retroterra di quei sommovimenti.
“Nuove scuole” di cui faceva parte tra gli altri anche Jean-François Laharpe, giornalista e amico di Voltaire che, dopo aver aderito con entusiasmo alla rivoluzione, verrà poi imprigionato durante il Terrore. Il soggiorno in carcere, all’ombra del Rasoio Nazionale, indurrà in lui un salutare ripensamento; da questa conversione nascerà un importante libro, intitolato Du fanatisme dans la langue révolutionnaire, in cui saranno denunciati la ferocia e l’ipocrisia del nuovo regime. La sua constatazione è molto chiara e perfettamente in linea con ciò che già sapevamo: “la caratteristica tipica della lingua rivoluzionaria è di utilizzare le parole comuni, ma sempre con un senso invertito.” (2)
Seguendo questi stessi principi l’intellettuale lombardo Vittorio Barzoni nel 1799 stilerà polemicamente un piccolo vocabolario della lingua rivoluzionaria:
“Attualmente la morte non è più morte, è un sonno; il tavolato della ghillotina, un letto passabilmente comodo: il suo ceppo, la zecca sulla quale le Repubbliche battono moneta: un massacro non è che l’effusione di qualche goccia di chilo: il terrorismo, elevazione repubblicana: il dilaceramento di tutti i patti sociali, democrazìa sublimata.” (3)
Qualche anno più tardi (1833) il Principe di Canosa con il suo scritto Sulla corruzione del secolo circa la mutazione dei vocaboli aggiungerà al tema dell’inversione anche quello della creazione di nuovi vocaboli:
“Come sarà possibile far formare giudizj tutti opposti alle idee preesistenti, al senso comune? Come ingannare tanto sfacciatamente se medesimo, e gli altri? Nulla di più facile per i nostri rivoluzionarj. Essi avendo accoppiato le stranissime idee della ribellione col d[i]ritto (il quale non può collegarsi che colla sola legittimità), e le qualità contraddittorie della superbia colla debolezza, si sono fortificati colla mutazione degli antichi vocaboli, e coll’altri inventarne tutti nuovi di conio.”
Tecniche di manipolazione che si pongono come scopo quello di “alterare il principio e le massime fondamentali della pubblica credenza, della Morale, non che i principj di Politica, d’Etica, e Giustizia universale”, e che porteranno allo scioglimento di tutte le società umane e soprattutto alla “dissoluzione della Società Europea” (4).
Con i secoli questa filosofia non cambia e le stesse tecniche continuano a ripetersi in maniera meccanica, robotica, senza mai cambiare nella loro sostanza. Nel 1929 Carl Schmitt, al congresso della Federazione internazionale della cultura, afferma la possibilità “di penetrare la nebbia dei nomi e delle parole con le quali lavora la macchina psicotecnica della suggestione di massa” così come “la legge segreta di questo vocabolario”, che rende possibile “la guerra più terribile” “solo in nome della pace”, la più terrificante schiavitù “solo in nome della libertà e la più terribile disumanità solo in nome dell’umanità.” (5)
Orwell arriverà solo molto più tardi, e per di più con una visione piuttosto imprecisa (6), che oltre a ripetere il già noto tema dell’inversione, rivolgerà la propria attenzione soprattutto sull’atrofia e l’indebolimento dei termini più pericolosi, che a suo dire nel futuro newspeak saranno quasi completamente svuotati di senso. Ipotesi non da escludersi – stante anche la semplificazione del linguaggio e la deriva algoritmica della comunicazione e del pensiero – ma che potrebbe avvenire in un futuro più per un inevitabile decadimento dell’intelletto che per una volontà politica. La minaccia vera, che attualmente è anche una realtà, rimane sempre quella di sfruttare parole di grande potere e fascino piegandole alle volontà egemoniche del Potere. Che spreco sarebbe quello di utilizzare ad esempio termini come justice, morality, science solo in ambiti ristretti e poi lentamente farli scomparire; molto più opportuno sarebbe invece caricarli di nuovi significati e poi utilizzarli a proprio beneficio. Cosa che del resto è già stata fatta (quasi su tutto, a parte i termini proprio inservibili come normalità, lealtà, purezza, etc.). L’operazione di recupero archeologico del termine democrazia è da questo punto di vista un caso particolare: una parola ormai morta e sepolta viene riesumata, artificialmente rianimata e poi utilizzata di nuovo (peraltro con un significato diverso da quello antico) per giustificare un regime dove il singolo non conta nulla e gli spazi di libertà sono ridotti al minimo. Un regime che di fatto non ha un vero nome che lo possa definire (a parte quello che noi abbiamo suggerito: demofagia) e che proprio grazie a questa sua inafferrabilità riesce molto più facilmente a muoversi e a sopravvivere.
La ragnatela dell’illusione è ancora molto fitta, non si smetta quindi di gettarle contro ogni pietra che si ha a disposizione.
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Note
1) Encyclopédie, tomo V, 1751, p.642A. Traduzione nostra.
2) J.-F. Laharpe, Du fanatisme dans la langue révolutionnaire, Migneret, Parigi, 1797, p.35 nota 1.
3) V. Barzoni, Memorabili avvenimenti, idem, p.195.
4) Sulla corruzione del secolo circa la mutazione dei vocaboli, in N. Del Corno, Gli «scritti sani» – dottrina e propaganda della reazione italiana dalla Restaurazione all’Unità, Franco Angeli, Milano, 1992, p.98.
5) C. Schmitt, Posizioni e concetti in lotta con Weimar-Ginevra-Versailles 1923-1939, Giuffrè, Milano, 2007, p.215.
6) Cosa notata anche da Marshall McLuhan che riserva all’inglese giudizi sferzanti. In una lettera a Ezra Pound del gennaio 1951 ad esempio scrive: “Il guaio con i buffoni come Geo. Orwell è che fanno la satira di qualcosa che è avvenuto 50 anni fa come una minaccia del futuro! L’effetto è narcotizzante”. M. McLuhan, Corrispondenza 1931-1979, Sugarco, Milano, p.125. In realtà, come abbiamo visto, Orwell è in ritardo di duecento anni. Il fatto che oggi lo si citi così spesso è un fatto poco incoraggiante che non ci indica per nulla un “risveglio delle coscienze”, ma soltanto che attualmente il Potere ha un vantaggio secolare sul senso comune e la percezione degli strumenti di manipolazione e dominio.