Heliodromos | Attingere alla fonte

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Tratto da Heliodromos
Nel tempo del massimo allontanamento dal Centro, com’è quello attuale, per l’uomo che cerca di resistere alla corrente del degrado non sono molte le possibilità di incontrare una guida sicura o un saggio consigliere. Certo, non è da escludere in assoluto l’incontro con qualcuno più avanti di noi nella ricerca, che ha già percorso un tratto del sentiero; ma questi colloqui non saranno mai risolutivi, accentuando semmai la sete di conoscenza e la necessità di approdare a terre ferme e a condizioni di stabilità, che permettano di dedicare il proprio impegno e le proprie energie a ciò che conta veramente.
Qualunque risulti essere il ruolo che ci è stato assegnato, qualunque sia la parte che ci tocca recitare e il personaggio che ci tocca interpretare nel mistero della vita, qualunque sia la missione che dobbiamo portare a compimento per dare un significato pieno e autentico alla nostra esistenza, diventa imprescindibile e di fondamentale importanza fare tesoro degli insegnamenti della sapienza universale, che ci sono giunti attraverso i testi sacri delle varie tradizioni e il fulgido esempio degli emblematici rappresentanti di queste; non a caso rappresentati spesso immersi in profonda contemplazione, dimentichi di tutto quello che avviene intorno a loro, con tutta l’attività rivolta interiormente.
Forse non ci rendiamo pienamente conto o non diamo il giusto valore alla preziosa opportunità che ci è concessa: il privilegio e il dono di poter lavorare su di noi per correggerci e modificare il nostro stato; a differenza dei danteschi “sciaurati, che mai non fur vivi”: vili abietti e uomini da niente che non si pongono nemmeno il problema di reagire all’annientamento cui sono destinati, e colpevolmente smarriti nelle tenebre dell’ignoranza; unicamente proni ed efficienti, per mascherare il vuoto che li domina, nel vile ed impotente stratagemma dell’avvelenamento dei pozzi, nell’inversione e il capovolgimento della Verità, illudendosi così di impedire ad altri di attingere l’Acqua pura, la “bevanda d’immortalità”, a loro preclusa.
Quelli che un tempo occupavano i posti di comando e di guida, per primi, dovevano praticare su loro stessi la più grande restrizione, perché tale austera disciplina è sempre stata la condizione necessaria, senza la quale il potere rapidamente svanisce e l’autorità viene meno. Dietro ogni autentico potere e dietro ogni vera autorità devono esserci l’autodisciplina e la concentrazione mentale, piuttosto che la capacità di suggestionare o piegare con la forza — violenta o economica, poco importa — che sempre conducono a tragiche conseguenze e a inevitabili insuccessi.
Di un sovrano della tradizione indù (Rama) si dice che eccellesse in ogni virtù, essendo «di sereno carattere in tutte le circostanze, di fortuna o sfortuna, mai inutilmente adirato; egli ricordava anche una sola cortesia, ma dimenticava cento ingiurie; era istruito nei Veda e in tutte le arti e le scienze di pace e di guerra, come l’ospitalità, la politica, la logica, la poesia, l’ammaestrare i cavalli e gli elefanti e nel tirar d’arco; egli onorava quelli di età matura, non guardava al suo proprio vantaggio, non disprezzava nessuno, ma era sollecito del benessere di ognuno; accudiva suo padre e sua madre ed era devoto ai fratelli». Testimoniando la retta condotta di vita e la bontà, otteneva la piena fiducia di uomini e dei, diventando rifugio luce e spada, dando prova di fedeltà assoluta e compiendo prodigi di soccorso e conoscenza.
Nello spirito nobile e aristocratico, ovviamente, tali qualità agiscono al massimo grado e in assoluta purità, ma ciò non esime chiunque dall’adottare, in proporzione al proprio rango ed alla propria dignità, un comportamento equivalente e sulla medesima linea di tendenza, trattandosi pur sempre di “Arte Regia”, quando si governa se stessi. Cercare, per esempio, l’approvazione e il consiglio delle proprie azioni da parte di coloro che reputiamo persone sagge ed equilibrate, è un metodo sicuro per superare le personalissime inclinazioni legate al sentimento e all’interesse soggettivo, affidandosi al giudizio disinteressato del fratello e camerata, perché la verità emerge spesso dal conflitto delle diverse vedute. E proprio a Rama si raccomandava: «usa gentilezza anche più grande, e frena i sensi; evita tutto il piacere e l’ira; mantieni la tua armeria e il tesoro; personalmente e per mezzo di altri renditi bene edotto degli affari di stato; amministra la giustizia liberalmente per tutti, cosicché il tuo popolo possa esser contento. Cingiti, figlio mio, e intraprendi il tuo compito».
Del resto, è nota la stretta relazione fra il macrocosmo e il microcosmo, fra l’immensità dell’universo (il Principio) e la parte più intima e profonda del cuore umano (il Sé); ed è ripetuto in continuazione che in un paese senza re tutto va male: pioggia non ne cade, non vi sono feste né prosperità, né salvezza; un regno senza re è come un fiume senza acqua, una selva senza erba, un gregge di vacche senza un guardiano; un re è padre e madre e abbraccia il benessere di tutti gli uomini e di tutte le creature. Nei testi tradizionali si ribadisce che quando regna un sovrano giusto e degno gli uomini vivono mille anni, e le piogge cadono regolarmente, e i venti spirano sempre favorevoli, e non vi è carestia, né pestilenza, né invasione di bestie feroci o di nemici; ma tutti gli uomini sono contenti e felici. Alla nascita di un simile sovrano il cielo e la terra danno manifestazione di gioia; gli alberi e gli arbusti fioriscono e fruttificano, i laghi si riempiono, e dal cielo scendono fiori e si odono musiche celesti.
Quando l’eroe tradizionale, il campione dello Spirito, porta a termine la sua missione impresa o fatica, tutti accorrono a lui (attratti) come l’acqua di un fiume va verso il mare, e, in virtù della disciplina che egli ha eseguito, tutte le cose sono obbedienti a lui. È il pericolo e il dolore, non la gioia e la sicurezza che spingono gli uomini a grandi gesta, e ogni uomo deve raccogliere quello che egli stesso semina, liberandosi dai ceppi dell’individualità, perché l’apparente separatezza è temporanea e irreale, ed è la causa di ogni pena. Il desiderio di mantenere l’illusorio individuale è la fonte di ogni dolore e di ogni male. È detto: «Astenersi da colpe, acquistare virtù, purificare il proprio cuore: questa è la religione dei Buddha». E in se stesso il raggiungimento dello stato di Buddha è un grande incentivo: paragonabile alla difficile ascesa alla cima di un albero, per raccoglierne il frutto. Buddha divenne un asceta in seguito alle visioni di vecchiezza, malattie, morte e sofferenza, abbondonando ogni delizia, là dove dolore e morte non erano neanche nominati. A giudizio degli dei, che operarono per strapparlo a quella condizione di immobile passività, il Grande Essere non doveva più languire in mezzo ai piaceri del palazzo, ma doveva procedere nella sua missione, fino a proclamare: «La mia mente si è distaccata;/il desiderio si è estinto».
 
Se da tutto questo si riesce a compiere la logica traslazione e applicazione sul piano individuale, si comprenderà pienamente quale deve essere il compito che ognuno ha da svolgere nel governo del proprio personalissimo “regno”. Il male più grande è causato dalla mancanza di padronanza di sé, piuttosto che dalla spada o da un serpente o da un nemico implacabile; e questo è l’effettivo lavoro preliminare che deve essere fatto da subito. Anche se il nostro io è afflitto dall’ostinazione tipica delle menti deboli e senza volontà, per cui dilapidiamo tutte le energie e sprechiamo ogni istante che ci è concesso per rincorrere chimeriche illusioni e realizzare progetti che, alla lunga, ci danneggiano.
E non sarà certo un semplice richiamo mentale e retorico ad una presunta differenziazione esoterica, o ad una svuotata religiosità exoterica, che potrà trarci d’impaccio e orientarci nei giorni che ci restano da vivere, perché è stato detto che “l’omaggio agli dei è buono se secondato dallo sforzo dell’uomo”; senza il quale ogni possibilità viene meno e tutto è vanificato. Consultare milioni di pagine e immagazzinare dati ad una velocità inconcepibile per l’essere umano è cosa che la cosiddetta Intelligenza  Artificiale riesce a fare molto meglio di noi, e non sarà certo il “fai da te” o la frequentazione dei tanti magic shop presenti sul mercato a farci progredire di un centimetro sulle vie dello Spirito.
Del resto, nessuno può svolgere il “lavoro” per noi; così come nessun essere nato e creato può vincere la naturale tendenza alla dissoluzione, che gli è propria; una condizione di permanenza così è impossibile. Il mondo in cui ci si arrovella e barcamena e gli stili di vita da cui siamo sommersi ci svuotano di ogni forza, come il sole che d’estate succhia le energie di tutte le cose. E questo spreco, questo dispendio, questa dissipazione ci conducono inevitabilmente — disarmati! — al momento dell’abbandono di questo corpo, per quanto bello altero e ben curato esso sia, con la stessa pena che prova un ricco signore quando lascia la sua sontuosa dimora.
Sempre in un testo della tradizione indù la Morte spiega a un suo interlocutore il vero motivo per cui essa avrà (quasi) sempre l’ultima parola: «La virtù è una cosa, il piacere un’altra; queste due tirano un uomo per vie diverse. Bene procede chi cerca virtù: va male chi segue il piacere. Queste due, sapienza e ignoranza, portano a punti opposti. (…) Anche il dotto non sfugge all’illusione, come cieco guidato da un altro cieco; mentre lo stolto nulla capisce: solo a questo mondo egli pensa e così torna sempre in mio potere. Ma quegli è grande, che pensa solo a quell’Uno, che i molti non sentono e non sanno. Mirabile è chi conosce il Brahman, non partecipabile, non facilmente raggiungibile».