Guénon, nell’intimo di una vita semplice

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Tratto da RigenerazionEvola

(da www.rigenerazionevola.it) – Uomo semplice e normale, nel senso di uomo puro e che vive secondo la Norma. Religioso, sereno e pacato. Si considerava uno strumento della Tradizione, non già un intellettuale da idolatrare. Molto ospitale e sempre pronto a dispensare le proprie benedizioni, circondato da amore del focolare familiare e da un tempo che sembra avere una velocità tutta sua, fuori dal tempo del mondo.
Bellissime pennellate di racconto su René Guénon, uno dei fari più alti e luminosi della Tradizione, che ancora oggi irradia la Via.

(www.corrieremetapolitico.blogspot.it) – 11/06/2017 – La vita semplice di René Guénon nel ricordo di Najm Oud-din Bammate

(…) L’impressione che ho ricavato da tutti questi nostri dibattiti è che Guénon si sarebbe sentito molto imbarazzato, credo, per tutta questa attenzione rivolta alla sua vita e ai suoi incontri. Non dico che si sarebbe arrabbiato – non era nel suo stile – ma avrebbe avuto una sensazione di disagio, come davanti a una situazione strana, sconcertante. Malgrado tutto dirò qualcosa sull’uomo che era Guénon, per come ho avuto la fortuna di conoscerlo, per due motivi. Il primo, perché ci sono molti lettori che si lasciano non dico scoraggiare, ma sì impressionare da un certo tono che sembra loro dottrinale, dogmatico, e perciò si fanno un’idea totalmente sbagliata dell’uomo. L’altra ragione, forse diametralmente opposta, è che si è venuto a creare uno spirito di cappella guénoniano, una specie di devozione, di idolatria della persona presso alcuni che lo presentano come una sorta di messia, di verità incarnata; come la voce dell’intellettualità pura, e non vogliono sentire ragioni. In questo caso  la disapprovazione di Guénon sarebbe stata ancora maggiore. Non si considerava affatto un maestro spirituale – nel senso di un guru – e non voleva esserlo. Riteneva che il suo status tradizionale fosse tutt’altro e aveva un atteggiamento quasi divertito nei confronti di coloro che lo trattavano come un intellettuale puro. Vedo ancora il suo sorriso il giorno che avendo ricevuto un testo, per altro molto bello, sui nomi divini nell’Islam e in Dionigi l’Aeropagita, inviatogli da un mio amico, commentava: “E’ troppo intellettuale per me!”.

rene guenonA volte aveva una maniera molto confidenziale, diretta e quasi ironica di parlare della quale nulla traspariva nei suoi scritti. Altra sua caratteristica era quella di attribuire una grande importanza all’adempimento dei riti exoterici. Un giorno cercherò di  spiegare quale sia il posto che occupa l’Islam nell’opera di Guénon, ma è certo che l’importanza che gli attribuiva, forse anche la sua stessa “conversione”, dipendevano dal fatto che lo considerasse  la via per il compimento dei tempi, dell’ultima fase del Kali-yuga, nel quale riteneva si imponesse l’osservanza delle forme exoteriche, mentre invece considerava inutile la distinzione tra esoterismo ed exoterismo all’interno di una Tradizione. Nella pratica e nella condotta rituale della sua vita quotidiana (poiché non poteva concepire una vita quotidiana che non fosse rituale), era mussulmano, perché l’Islam era la forma dell’ultima ricapitolazione. Diceva sempre che il legalismo mussulmano così come si esprime nel suo exoterismo, è di per se solo insufficiente, ma metteva anche in guardia dalle tentazioni del misticismo, i deliqui degli stati d’animo e le effusioni della soggettività.

L’adempimento di una vita rituale era una disciplina tradizionale. Da parte sua, Guénon osservava i riti: le cinque preghiere mussulmane, le invocazioni, i digiuni; e l’immagine che dava di se stesso nel quartiere periferico del Cairo dove abitava quando l’ho incontrato (a questo proposito, Chacornac colloca le mie visite nel 1944-45, mentre invece i miei incontri con Guénon sono posteriori di qualche anno avendo avuto inizio nel 1947), era quella di un uomo di grande semplicità, che non si atteggiava né a maestro spirituale, né a interprete ufficiale di una religione o di una dottrina. C’era nella sua esistenza come una dicotomia che corrispondeva precisamente alla rifrazione della via tradizionale secondo l’Islam in exoterismo ed esoterismo… Da una parte si trattava per lui, “di dire ciò che è” e a questo riguardo era inflessibile: per suo tramite parlava la Verità impersonale in tutto il suo rigore. Dall’altra, nella condotta della sua esistenza, prima di ogni rituale, scandito dall’adempimento degli obblighi exoterici del dogma mussulmano, stava l’uomo pieno di pudore metafisico che vedeva nei suoi nemici, anche nei più accaniti, una scintilla che lo spingeva a comprendere e a perdonare. Quel Guénon, i suoi scritti non lo mostravano, appartenendo a un altro ambito, quello dell’assoluto; si è invece creata una specie di idolatria che lo vuole totalmente intellettuale, metafisico e astratto. Egli è essenzialmente nel voto pronunciato, in questa shahâdahinteriore che ha realizzato, in questa invocazione ad Allah che ha ripetuto tutti i giorni della sua vita, probabilmente dal 1912, di sicuro dal 1930, che è anche l’ultima parola pronunciata nell’istante della morte. 

Permettetemi, a tale proposito, di leggere alcune righe che avevo scritto a richiesta di Jean Paulhan, sulle mie ultime visite a Guénon:

René-Guénon-guenon-1886-1951-ph-284x300“Non si tratta, ripeteva Guénon, di essere persuasivo, ancor meno soggiogante, ma semplicemente di “dire ciò che è” senza immischiarvi la propria volontà, le proprie conoscenze, la propria abilità; senza l’intrusione di elementi estranei. Si pensi alla lettura recto tono o alla tradizione buddista che raccomanda ai maestri spirituali di impartire i propri insegnamenti con voce neutra, senza sbalzi di tono; il timbro deve essere uguale fino alla monotonia. Se qualche inflessione venisse a interrompere la piattezza della loquela, l’attenzione del discepolo rischierebbe di esserne sollecitata. Ma il maestro deve vigilare di non proiettare se stesso davanti alle sue parole. Allora, per maggior sicurezza, alcuni avranno cura di parlare nascondendo il viso dietro un ventaglio, in quanto l’adesione è dovuta solo alla verità, mai ai falsi prestigi dell’eloquenza né alle sembianze di una personalità. René Guénon parlava dietro un ventaglio.

Certo, Guénon non ha mai preteso di essere un direttore spirituale e ancor meno un santo. Ma non ho mai avuto l’impressione che avesse cancellato dal suo viso l’espressione del sacro. L’uomo nella sua discrezione era in realtà al di qua o al di là dell’individuale, e questo fin nel dettaglio più banale della vita quotidiana. Ogni residuo psichico o mentale sembrava abolito, restava solo un’anima di una totale trasparenza. Ma niente ascesi, niente estasi; quella purezza era senza fronzoli, spontanea, quasi terra terra. In tutta semplicità, René Guénon era diafano. La sua conversazione era spesso banale, senza effetti di stile. Di fatto, non parlava quasi mai di metafisica. “Dire ciò che è”. I soli ornamenti erano le citazioni alla maniera orientale, di proverbi edificanti o di espressioni religiose, come: “Tutto perirà tranne il volto di Dio”. Per René Guénon, ciò che è, è il volto di Dio. Dire ciò che è, significa descrivere i riflessi di quel Volto nei Veda o nel Tao Te Ching, nella Kabbala o nell’esoterismo mussulmano, nelle mitologie o nei simboli dell’arte cristiana medievale. L’uomo spariva dietro la dottrina tradizionale.

Quando Guénon prendeva in mano la penna, adempiva alla sua funzione; era allora un porta-parola della Tradizione e si mostrava di un rigore assoluto e puntiglioso. Una volta terminata la pagina, la sua grande occupazione consisteva nel giocare con i bambini e nell’accarezzare i gatti che si accovacciavano vicino alla sua poltrona. La prima impressione che dava nel suo piccolo salotto borghese del Cairo, malgrado la sua veste araba per altro molto semplice, era quella di un professore di Facoltà, filosofo od orientalista. Impressione sconcertante poiché non stimava né gli uni né gli altri. Sul viso allungato, alla spagnola, gli occhi apparivano fuori posto, come se fossero stati aggiunti. Troppo grandi, sembravano di provenienza estranea, venuti da un altro mondo, e giustamente cercavano altrove, come gli occhi di alcuni cavalieri che ne “La Sepoltura del conte di Orgaz” di El Greco, non stanno vicino al feretro ma nella parte superiore del quadro, con gli angeli e il Cristo.

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El Greco – La Sepoltura del conte di Orgaz

Occorre rimarcare soprattutto la capacità di ascolto di Guénon. Ascoltava il silenzio  con molta maggior attenzione di qualunque altra cosa. Quest’uomo che i suoi lettori consideravano perentorio, aveva l’atteggiamento naturale di colui che interroga. Molti lo seguivano perché offriva loro ragioni per ribellarsi. Ma la critica non era lo scopo ultimo di Guénon; era solo per rispettare la Tradizione e per esporla con chiarezza che gli accadeva accidentalmente di aggredire alcune idee per loro stessa natura effimere.  Il distruttore di idoli era in realtà un uomo rispettoso; il ferro e il granito esplodevano sulla mina del più discreto dei dinamitardi. Il tono che manteneva durante una conversazione, per costatare i danni causati dall’occultismo o i progressi dello scientismo, non era né di rivolta né di indignazione. Non fulminava, ma in tutto il suo atteggiamento c’era come l’imbarazzo di qualcuno che abbia appena assistito a uno spettacolo sconveniente. Mi ricordo la sua espressione il giorno in cui i gatti strapparono un fascio di manoscritti; o il giorno in cui Chacornac era in ritardo per la pubblicazione di un testo. Era esattamente lo stesso stupore amareggiato.

Rispetto, discrezione; quella sua maniera di apparire confuso era una forma di pudore, qualità frequente in Oriente che René Guénon portava al più alto livello fino a farne una sorta di cortesia metafisica. Niente lo esprimeva meglio delle benedizioni che con semplicità disseminava nelle sue conversazioni, con la stessa semplicità che, anche a tavola, dava un valore rituale alla divisione del pane, al gesto per salarlo, all’offerta che vi faceva nel tendervi un piccione grigliato.

Questo l’episodio che sarebbe stato per me l’ultima sua immagine: in piedi, nel giardino, accanto alla moglie, lo sceicco Abd el-Wahid (era il nome arabo di René Guénon) le fa ripetere, dopo averla detta egli stesso, la formula di benedizione e di augurio per il ritorno dell’ospite. Sono ritornato, ma per i funerali. Ed era la stessa semplicità: un cimitero popolare, qualche familiare, e le due piccole figliole che si rincorrono.

(Traduzione dal francese a cura del Corriere metapolitico. Fonte: “René Guénon et l’actualité del pensée traditionelle”, Edition du Baucens, 1977, pp. 45-47)