Gli uomini si armano gli uni contro gli altri perché sono mortali; e i loro ordinati combattimenti, che assomigliano a danze pirriche, ci mostrano che gli affari degli uomini sono semplicemente dei giochi e che la morte non è nulla di terribile; che morire nelle guerre e nei combattimenti è anticipare un po’ il termine della vecchiezza, è partire più presto per ritornare poi nuovamente. Ma se rimanendo vivi perdono i loro beni, conosceranno così che quei beni non appartenevano a loro e che è un risibile possesso per gli stessi ladri quello che può essere tolto anche a loro da altri; e anche per coloro che non ne vengono spogliati il possesso diventa peggiore della spoliazione.
Come sulle scene del teatro, così dobbiamo contemplare anche [nella vita] le stragi, le morti, la conquista e il saccheggio delle città come fossero tutti cambiamenti di scena e di costume, lamenti e gemiti teatrali. Infatti, in tutti i casi della vita, non è la vera anima interiore, ma un’ombra dell’uomo esteriore quella che si lamenta e geme e sostiene tutte le sue parti su questo vario teatro che è la terra tutta. Tali sono le azioni dell’uomo che sa vivere soltanto una vita inferiore ed esteriore e non sa che le sue lacrime e i suoi affari sono un puro gioco. Soltanto con la parte saggia [della sua anima] l’uomo deve prendere sul serio le cose serie, ogni altra parte di lui è un giocattolo, ma coloro che non conoscono ciò che è serio prendono sul serio i loro giochi e sono giocattoli essi stessi. Se qualcuno fa le stesse cose giocando con costoro sappia che si è imbattuto in un gioco di ragazzi e ha perduto la sua dignità. E se anche Socrate gioca, egli gioca con ciò che v’è in lui di esteriore. E bisogna anche pensare che le lacrime e i lamenti non sono necessariamente indizi di mali reali: infatti anche i fanciulli piangono e si lamentano per cose che non sono mali.
PLOTINO, ENNEADI III, 2 (traduzione di G. Faggin, Milano 1992)