Pubblichiamo la seconda parte della Fiaba dello Zar Saltan.
Aleksandr Sergeevič Puškin nacque a Mosca, 6 giugno 1799 (26 maggio del calendario giuliano) e morì a San Pietroburgo il 10 febbraio 1837 (29 gennaio del calendario giuliano) è stato un poeta, saggista, scrittore e drammaturgo russo.
È considerato il fondatore della lingua letteraria russa contemporanea e le sue opere, tra le migliori manifestazioni del romanticismo russo, hanno ispirato numerosi scrittori, compositori e artisti; dette opere costituiscono tuttora tra le più importanti espressioni della letteratura russa, in quanto nonostante i quasi due secoli passati dalla loro creazione, ci presentano una lingua tuttora viva e attuale.
La fiaba dello zar Saltan, di suo figlio, il famoso e possente bogatyr, principe Gvidon Saltanovič e della bellissima zarevna-Cigno, è una fiaba in tetrametri trocaici e rime baciate, scritta nel 1831 e edita l’anno successivo.
Curiosità. Il termine bogatyr è utilizzato per indicare i guerrieri eroici della tradizione medievale slava orientale, comparabili con i cavalieri erranti della tradizione dell’Europa occidentale.
Parola chiave: RICHIAMO.
Buona lettura e buone vacanze dal Cuib femminile di Raido!
(Inizio seconda parte) La nave correva veloce sull’onda e già entrava nel porto. I naviganti furono invitati a reggia dallo zar Saltan e il nostro audace moscone volò dentro con loro. Lo zar era seduto su un trono tutto d’oro, aveva in capo una corona risplendente di pietre preziose, ma il suo sguardo era triste. Accanto a lui, come sempre, erano sedute le due cognate e la comare Barbarica.
– Da dove venite, naviganti? – chiese lo zar Saltan. – Avete fatto buon viaggio? Che novità vi sono nel mondo?
– Abbiamo visto cose meravigliose, sire, ma la più meravigliosa di tutte è stata questa: in mezzo al mare vi è un’isola in cui è sorta all’improvviso una città dalle cupole risplendenti. Nel giardino della reggia cresce un abete: sotto l’abete c’è uno scoiattolo che canta una canzoncina e sgranocchia noccioline i cui gusci sono d’oro e i cui frutti sono di smeraldo. Lo scoiattolo vive in una casetta di cristallo. Con i gusci gli isolani coniano monete e gli smeraldi vengono distribuiti agli abitanti. Signore di quest’isola è il principe Gvidon, che ti manda il suo saluto e ti invita nella sua terra.
L’animo dello zar si riempì di stupore ed egli esclamò:
– Allestitemi una flotta. Voglio andare a vedere quest’isola incantata e a far visita al principe Gvidon.
Ma le due sorelle e la comare Barbarica si guardarono sospettose. Chi era mai questo principe Gvidon?
– Che gran cose raccontate! – esclamò con voce rauca la tessitrice. – Ma che cosa c’è di tanto strano nel fatto che uno scoiattolo sgranocchi noccioline d’oro? Vi racconterò io un fatto molto strano più strabiliante.
Nella sala si fece improvvisamente un gran silenzio. La tessitrice proseguì cantilenando:
– Sulle rive di un mare lontano, agli estremi confini della terra, si dice succeda questo strano fenomeno; percorso da un vento di tempesta, il mare ribolle, schiumeggia, si gonfia; dalle sue acque sorgono infine trentatre guerrieri alti e forti e armati fino ai denti, ricoperti di squame lucenti. E alla loro testa c’è l’antico eroe Tcernomor. Questo si che è un prodigio unico al mondo!
Tutti ammutolirono per la meraviglia e lo zar Saltan era già dimenticato dell’isola della quercia. Il moscone allora s’infuriò e, ronzando sul capo della tessitrice, la punse sotto l’occhio sinistro.
– Uccidetelo! – urlavano tutti. – Presto, acchiappatelo! Non lasciatelo scappare ! di qua! No, di là!
Ma il principe moscone fuggì via veloce attraverso la finestra e se ne tornò alla sua terra. La sera, dopo il tramonto, il principe Gvidon andava sulle rive del mare. Nuotando silenziosamente, gli s’accostò ancora una volta la dolce principessa Cigno.
– Che hai, mio principe? – mormorò. – Perché passeggi triste e pensieroso sulla riva del mare? Perché guardi l’orizzonte e sospiri? Che cosa c’è che non va?
– Un grande desiderio mi riempie il cuore gentile. Ho sentito dire che vi è un luogo nel mondo in cui il mare, percosso da un vento di tempesta, ribolle, schiumeggia e infine lascia uscire dalle sue acque trentatré guerrieri alti e forti armati fino ai denti, ricoperti di squame lucenti. E alla loro testa c’è l’antico eroe Tcernomor. Oh, come vorrei poter vedere con i miei occhi questo strano prodigio! Ma purtroppo non potrò mai realizzare questo desiderio …
– Non rattristarti, mio principe. Io posso aiutarti a realizzare il tuo desiderio. Quei guerrieri del mare sono miei fratelli. Torna a casa tranquillo e attendi …
Il principe tornò a casa rasserenato e salì in cima alla più alta torre, fissando lo sguardo sul mare. A un tratto un soffio di tempesta sconvolse il mare, che ribolle, schiumeggia, si gonfia, poi lascia sulla sabbia trentatré fortissimi guerrieri, rivestiti di squame lucenti. I guerrieri avanzano in fila, le armi in pugno, e innanzi a tutti va l’antico eroe Tcernomor.
Gvidon si precipitò giù dalle scale e corse incontro agli ospiti. Le guardie spalancarono i cancelli della città per fare entrare i trentatré guerrieri. I guerrieri entrarono con il capo fieramente eretto, e le loro squame mandavano bagliori sinistri. Il capo, Tcernomor, si presentò al principe Gvidon.
– La principessa Cigno, nostra sorella, ci ha mandato da te, affinché sorvegliamo la tua gloriosa città. Tutti i giorni, alla stessa ora, noi emergeremo dalle acque e monteremo la guardia alle mura. Così voi potete riposare tranquilli. A domani, dunque!
E i guerrieri scomparvero nuovamente nel fondo marino.
La nave correva veloce sul mare, un vento leggiero increspava le onde. Ecco apparire l’isola dalle cupole splendenti! I cannoni spararono a salve, invitando il veliero a entrare nel porto. Ecco i naviganti davanti al principe Gvidon.
– Da dove venite. Ospiti, e dove state andando? In cosa avete commerciato? In pellicce, in cavalli o in pietre preziose?
– In corazze, principe, e in oro zecchino. E ora stiamo tornando nella nostra patria, dove regna lo zar Saltan.
– Che un vento amico sospinga la vostra nave e che possiate giungere in patria sani e salvi. Porgete, vi prego, i miei saluti allo zar Saltan.
I marinai tornarono sulla nave e ripartirono e il principe Gvidon rimase sul lido, con lo sguardo fisso alle bianche vele che s’allontanavano. Un guizzo sull’acqua, uno scintillio di piume bianche e ancora una volta il cigno apparve sulla cresta dell’onda.
– Che hai, mio principe, che te ne stai qui tutto solo soletto a sospirare, e guardi la nave che si allontana in fretta sul mare?
– Una pena infinita mi opprime, cigno gentile. La mia anima vorrebbe volar via …
Un breve sbatter d’ali, uno spruzzo di argentee goccioline e il principe, trasformato in calabrone, volò via ronzando sulla scia della nave. Scese la notte punteggiata di stelle, poi sorse un nuovo giorno. Il calabrone continuava a volar dietro la nave e i grandi uccelli del mare lo guardavano stupiti.
Laggiù, il porto sicuro attendeva la nave che si avvicinava a vele spiegate. Ecco, la nave entra in porto, i cancelli della reggia si spalancano, giungono i naviganti scortati dalle guardie d’onore, e dietro di loro vola il calabrone. Lo zar Saltan sedeva sul trono d’oro lucente, ma un pensiero tormentoso gli oscurava il volto. Egli ricevette con tutti gli onori i naviganti, li invitò alla sua tavola, poi prese a interrogarli:
– Ditemi, ospiti, quali terre avete visitate? Quali nuove meraviglie avete visto nel vasto mondo?
– Siamo andati in lontane contrade, sire, e abbiamo visto molte meraviglie, ma la meraviglia più grande è stata questa: su un’isola un tempo deserta sorge ora una città in cui ogni giorno accede uno strano prodigio. Il mare ribolle e schiumeggia, scagliando le sue onde sul lido, e dalla spuma delle onde emergono trentatré guerrieri alti, forti e ben armati, guidati dall’antico eroe Tcernomor. Essi avanzano verso le mura della città e montano la guardia all’isola, rimanendo dritti e immobili fino al calare del sole. Solo allora rientrano ne mare. Signore di quest’isola è il principe Gvidon, che ti manda il suo saluto più affettuoso.
Lo zar Saltan si sentì preso da grande meraviglia ed esclamò:
– Presto allestitemi una flotta! Voglio recarmi nell’isola misteriosa a fare visita al principe Gvidon. Ma le due invidiose sorelle e la comare Barbarica si guardarono bieche in volto. Chi era dunque questo misterioso principe Gvidon? E se fosse stato? … No, lo zar non doveva assolutamente andare a fargli visita!
– Non stare ad ascoltare questa gente, mio zar! – esclamò allora la vecchia comare Barbarica. – che cosa c’è di tanto strano se i guerrieri escono dal mare e montano la guardia a una città? Ora ti racconterò io un fatto molto più straordinario. Al di là dei mari, in una terra sconosciuta, dicono che viva una principessa bellissima. Di giorno ella offusca col suo splendore la luce del sole e di notte illumina la terra. Nelle sue trecce nerissime splende una falce di luna e sulla sua candida fronte brilla una stella. Tanta è la sua grazia nel camminare che pare un cigno che scivoli sull’acqua, e la sua voce sembra il canto della sorgente.
«Вот идет молва правдива:
За морем царевна есть,
Что не можно глаз отвесть:
Днем свет божий затмевает,
Ночью землю освещает,
Месяц под косой блестит,
А во лбу звезда горит.
А сама-то величава,
Выплывает, будто пава;
А как речь-то говорит,
Словно реченька журчит.
Молвить можно справедливо,
Это диво, так уж диво».»
«Gira invece questa voce,
e verace: una zarevna
c’è oltre il mare, da incantare:
più che luce splende, il giorno,
tutto illumina di notte,
ha la luna alla sua treccia,
brilla in fronte sua una stella.
È maestoso il portamento,
qual pavona si presenta;
quando poi prende a parlare,
è un ruscello che gorgoglia.
Si può dire per davvero
ch’è una vera meraviglia.»
Tutti ascoltavano incantati. Ma a un tratto si udì un grido: il calabrone aveva punto il naso della comare Barbarica, poi era volato via in gran fretta.
La sera era scesa sul mare e sulla terra. I raggi della luna giocavano con le onde increspate dal vento. Pensieroso, il principe Gvidon s’aggirava sulla spiaggia.
– Che hai, mio principe, per aggirarti così triste e malinconico? – mormorava il cigno avvicinandosi. – Quale altro desiderio ti accora?
– Un desiderio ancora più grande degli altri, mio cigno, ma ancora più difficile da realizzare. Laggiù, nella reggia di mio padre, ho sentito parlare di una fanciulla di meraviglia bellezza, che di giorno offusca col suo splendore la luce del sole e di notte illumina la terra. Una falce di luna le splende nelle nere trecce e una stella le brilla in fronte. Quand’ella cammina sembra che scivoli sull’acqua e la sua voce sembra il canto della sorgente. Vorrei che quella fanciulla diventasse mia sposa … ma questo non è che un sogno.
Un lungo silenzio seguì queste parole. Non si sentiva che il mormorio delle onde e il fruscio del vento. Infine, la dolce principessa Cigno rispose esitante.
– La fanciulla che cerchi esiste veramente, mio principe, ma sei proprio sicuro di volerla sposare? Pensaci bene, per non doverti pentire in seguito.
– Ci ho pensato abbastanza e ormai ho deciso. Stanotte stessa partirò per andare alla ricerca della fanciulla dalla stella in fronte.
– Non c’è bisogno che tu parta, mio principe – sussurrò allora il cigno. – Attendi e vedrai …
E davanti agli occhi del principe accadde un fatto straordinario. Il cigno aprì le ali come per volare via, tese verso l’alto il lungo collo; una nube di spuma lo nascose agli occhi del principe, poi … una fanciulla di meravigliosa bellezza apparve al suo posto: una falce di luna le splendeva nelle nere trecce e una stella le brillava in fronte; ella camminava sull’acqua lieve come un cigno che scivoli sulle onde e quando parlava la sua voce era armoniosa come il canto della sorgente.
– Sono io la fanciulla che cercavi – ella disse. – E, se tu vuoi, sarò la tua sposa.
Il principe la prese per mano e la condusse davanti a sua madre. I due giovani s’inginocchiarono davanti a lei e Gvidon pregò:
– Questa è la sposa che ho scelto, mamma. Dacci il tuo consenso e la tua benedizione, perché i tuoi figli possano vivere nella gioia e nell’amore.
Felice, la zarina benedisse i due giovani e, la sera stessa si celebrarono le nozze.
A vele spiegate, la nave correva sulle onde, sospinta dal vento. Passò davanti l’isola dalle torri spendenti, i cannoni sparano a salve e la nave entrò in porto. I naviganti sono introdotti nella sala del trono dal principe Gvidon. Accanto a lui siede la principessa Cigno e un dolce chiarore la circonda.
– In che cosa commerciate, miei ospiti? – s’informa il principe. – Verso quale terra siete diretti?
– Ci siamo recati in terre lontane, principe, e abbiamo commerciato in spezie. Ora stiamo facendo ritorno in patria, la terra del glorioso zar Saltan.
– Che il mare vi sia propizio, miei ospiti, e le onde non vi travolgono. Quando giungerete in patria, recate il mio saluto allo zar Saltan e ricordategli la sua promessa di venirmi a trovare.
I naviganti ripartirono, ma questa volta il principe Gvidon non li seguì pensieroso sulla riva del mare, con lo sguardo rivolto alle vele fuggenti. Questa volta il principe restò felice nella reggia, accanto alla sua sposa luminosa. Nulla più lo spingeva ad andare sull’ampio mare.
Il veliero giunse nel porto, le bianche vele spiegate; i naviganti furono invitati a corte dallo zar. Egli sedeva sul suo trono d’oro lucente e un pensiero tormentoso gli oscurava il volto. Le tre donne gli sedevano accanto sospettose. Saltan invitò gli ospiti a banchetto e poi prese a interrogarli:
– Ditemi, naviganti, quali terre avete visitato? Quali nuove meraviglie avete visto?
– Abbiamo visitato lontane contrade e abbiamo visto molte meraviglie, sire. Ma la meraviglia più grande è stata questa: in un’isola una volta deserta è sorta una grande città dalle cupole risplendenti al sole. Nel giardino della reggia c’è uno scoiattolo che sgranocchia noccioline d’oro con la mandorla di smeraldo. Attorno alle mura ci sono trentatré guerrieri che escono ogni giorno dal mare schiumeggiante per venire a custodire la città. E nella sala delle udienze c’è una fanciulla di straordinaria bellezza, con una falce di luna nei capelli e una stella in fronte. Quand’ella cammina pare un cigno che scivoli sull’acqua e quando parla sembra una sorgente che mormori il suo canto. Ella è la sposa del principe Gvidon, che ti saluta e ti rinnova il suo invito.
Allora lo zar prese la grande decisione: fece allestire la flotta e si preparò al lungo viaggio. Invano, questa volta, le due invidiose sorelle e la vecchia comare Barbarica tentarono di trattenerlo.
– Lasciatemi! – egli gridò sdegnosamente. – Sono o non sono lo zar? – E se ne uscì a grandi passi.
Su una torre del castello il principe Gvidon scrutava il mare in lontananza. Alcuni gabbiani roteavano pigramente sull’acqua, lanciando ogni tanto il loro stridulo grido. Ma null’altro, né uomo né animale, rompeva il silenzio e la solitudine del luogo. Eppure … c’era qualcosa laggiù, un puntino che s’ingrandiva via via che s’avvicinava … sì, era una grande vela bianca, era il veliero dello zar Saltan!
Quando la nave approdò nel porto, i cannoni spararono a salve e le campane sonarono gioiosamente. Gvidon stesso si recò incontro al padre, si prostrò ai suoi piedi, poi, in silenzio, lo precedette verso la reggia. Schierati ai cancelli della reggia, c’erano i trentatré guerrieri e l’antico eroe Tcernomor, che presentarono le armi allo zar. Nel giardino, lo scoiattolo fatato sgranocchiava noccioline d’oro e cantava la sua gaia canzoncina. E sulla soglia della sala del trono una bellissima fanciulla attendeva lo zar: aveva una falce di luna nei capelli e una stella rilucente in fronte. Teneva per mano la zarina e sorrideva.
Lo zar guardò la zarina e trasalì. “ La mia dolce sposa perduta da anni …” pensò e , scoppiando a piangere come un bambino, abbracciò la moglie, il figlio e la giovane principessa.
Le due malvagie sorelle e la comare Barbarica, che avevano seguito lo zar, si nascosero negli angoli più bui del castello. Ma Gvidon mandò i servi a cercarle e le invitò al grande banchetto, e la zarina perdonò le sue invidiose sorelle. Una grande gioia scese nel cuore di tutti.
I trentatré guerrieri intanto montavano la guardia perché nessuno disturbasse il banchetto regale, mentre lo scoiattolo sgranocchiava noccioline vere sulla tavola del principe Gvidon.